di DARIO CIOFFI
C’è una “questione meridionale” nella qualità della pratica sportiva, e Salerno non ne è esclusa. Anzi. L’ultimo dossier del “Sole 24 Ore” è una bocciatura senz’appello, l’ennesima, per una provincia che ama lo sport, ce l’ha nel sangue, esprime campioni in una miriade di discipline ed eccellenze dirigenziali, eppure sprofonda all’81esimo posto su 107 in una classifica impietosa, mortificante. Comanda Trento, segue Trieste, poi Macerata, ai piedi del podio Treviso. Il Sud lontanissimo, drammaticamente indietro, e il territorio salernitano che non emerge né fa eccezione.
Va da sé che il problema più serio sia legato all’impiantistica. È lì l’origine d’ogni criticità. E sarebbe errato immaginare una complessità del genere con la visione ristretta del solo “caso Salerno” in quanto capoluogo, dove il sogno d’una Cittadella dello sport è rimasto irrealizzato, su fogli di carta buoni per (ri)scriverci sul retro. Qui la questione è provinciale. Investe tutti i 158 comuni. Da Scafati a Sapri. E impone un momento di riflessione profonda e responsabile, oltre che improcrastinabile, nell’ottica di non considerare la pratica sportiva come mera corsa all’agonismo e all’incoronazione d’un campione – ché quelli, a ben pensarci, non mancano e anzi continuano a imporsi in giro per il mondo, spesso con un inevitabile destino da migranti – bensì a strumento necessario per migliorare la vivibilità d’un territorio e per favorire, al di là dell’insopportabile retorica che spesso governa inutili dibattiti, la formazione delle nuove generazioni. Gli uomini del domani. Quelli che crescono con valori sconosciuti ad altri coetanei se, oltre alla scuola, rafforzano la propria esperienza in una squadra, in campo, in palestra.
Ed è proprio lì, evidentemente, il nodo che non si scioglie. In un Paese che dà troppo poco spazio all’educazione fisica, diventa fondamentale favorire l’attività sportiva pomeridiana. Gli spazi sono il primo irrinunciabile elemento. Nel salernitano ce ne sono pochissimi. Per l’attività di base come per i grandi eventi. L’Universiade campana è stata una grande opportunità, un successo organizzativo indiscutibile se si considera il rischio vissuto – reale – di non veder neppure andare in scena la kermesse, e però incapace di segnare la svolta che per un po’ fu auspicata. Lo stadio Arechi s’è rifatto il look con oltre 30mila sediolini e una “rinfrescata” che ci voleva all’alba dei trent’anni, l’Università degli Studi di Salerno – investendo in gran parte di tasca propria – ha arricchito il campus di Baronissi d’un palasport degno di tal nome, il PalaSele di Eboli e il PalaCoscioni di Nocera hanno fatto ottime figure con il pieno di pubblico ma per il resto non è stato possibile fare molto di più.
Di qui la necessità d’un cambio di passo che diventerà reale soltanto quando sarà avviata una rivoluzione dell’impiantistica che valorizzi lo sport come risorsa, creando un circolo virtuoso e facendo uscire gli instancabili dirigenti appassionati e che sono in prima linea, spesso soliti noti, dalla dimensione dell’eroismo, perché alle spalle c’è un sistema che funziona. È un ideale oggi sconosciuto in un territorio dove le eccezioni non mancano e però la “regola” è il contrario d’un modello da seguire. In calce alla sua indagine, il “Sole 24 Ore” specifica: «L’Indice di sportività verrà utilizzato nell’indagine sulla Qualità della vita 2019”. Appunto…