di DARIO CIOFFI
«Eroi chi? Noi? Macché! Quelli sono i medici. Sono loro che salvano le vite». Antonio – nome di fantasia – fa un riso amaro, come il titolo di quel film di settant’anni fa che fece storia, e con dignitosissima stanchezza la racconta tutta. «L’ho sentita pure io, in questo periodo, ’sta storia degli eroi di tutti giorni. Bene, mi sentirei tale, nel mio piccolo, se portassi cibo e medicine a casa della gente che non può muoversi. Invece l’altro giorno davanti a me una signora ha aperto uno scatolo con il RisiKo, il gioco da tavola, e un’altra poco dopo ha scartato cinque libri. Per carità, è cultura e io sarò ignorante, però so che esistono gli e-book, magari in questo momento leggere dal pc o dal tablet aiuterebbe me, e chi fa il mio mestiere, a rischiare qualcosa in meno». Benvenuti a bordo del furgone d’un corriere di Amazon, il colosso del mercato on-line che in tempo d’emergenza sanitaria, pur varando recentemente una stretta sui prodotti, ha moltiplicato gli ordini della sua clientela. Perché i negozi sono chiusi, tranne quelli dei “servizi essenziali”, e però con la semplicità d’un click risparmi qualche euro e ricevi comodamente la merce fino a casa.
Antonio e i ragazzi come lui sono “trottole” su tutto il territorio salernitano e della Campania. Un esercito di migliaia di corrieri. La forza dell’e-commerce, che ha fidelizzato milioni di persone in pochi anni proprio perché non tradisce (parole d’ordine: serietà e puntualità), sono loro che in una giornata di lavoro da 8 ore superano il muro delle 150 consegne. «Sì, una cosa è cambiata in queste settimane: c’è un po’ meno traffico lungo le strade. E soprattutto, adesso che questo appello a restare a casa ormai è stato recepito quasi da tutti, non capita mai di citofonare e non trovare nessuno», sorride stavolta d’ironia convinta, e però raccontando un’altra verità questo giovane della provincia di Salerno che non vuol saperne di mostrarsi con volto e generalità. E il “perché” te lo sbatte pure in faccia con umanissima eloquenza: «Io rischio di prendermi il Coronavirus per fare il mio lavoro. Vuoi vedere che lo devo perdere per rilasciare l’intervista a te?». Come dargli torto…
Non si presenta ma sa raccontarsi, Antonio. È una persona perbene. Uno che mangia pane e dignità, e che macina chilometri su un furgone strapieno di pacchi. Va in giro con guanti, mascherine e paura. Già, la paura. Il sentimento di cui più ci vergogniamo, normalmente, e che invece al tempo dell’emergenza epidemia possiamo urlare al mondo senz’alcun imbarazzo. «Tu hai paura ad andare a casa dei tuoi amici, quelli che vedi da sempre, e però da cui ora ti hanno detto di restar distante almeno un metro? Figurati io, che vado in 150 case diverse, incontrando gente sconosciuta».
Fortuna che qualcosa è mutato, almeno nelle precauzioni. «Non saliamo più negli appartamenti, lasciamo i pacchi a terra o sui muretti. I clienti, devo essere onesto, nella stragrande maggioranza dei casi hanno capito, anzi c’incoraggiano pure. Frasi di circostanza, del tipo: “Guajo’, mi raccomando, statt’ accort’!”. Una signora ieri mi ha detto: “Forza figlio mio, mo’ che passa ’sta guerra torni qua, sali e ci pigliamm’ nu’ bell’ cafè”. Parole semplici, ma che fanno immensamente piacere. Poi c’è pure lo scemo di turno che si lamenta del fatto che deve scomodarsi: “Devo scendere io? E perché stai avanti al portone? Non potevi salire?”. Vediamo di tutto un po’, non ci facciamo mancare niente».
In soldoni: il lavoro è aumentato, enormemente, e in maniera direttamente proporzionale pure il rischio, visto che 150 contatti al giorno («in realtà sono molti di più, perché soprattutto di mattina mica tutte le strade sono deserte») significa tornare a casa ogni sera sperando d’esser sfuggiti al pericolo del contagio, il motivo per cui – ad esempio – la Regione Campania ha vietato le consegne di pizze a domicilio. «Ah, una cosa che non è aumentata c’è, ovviamente… È lo stipendio», chiosa Antonio con lo stesso riso amaro dell’inizio, quello di chi stamattina s’è (ri)svegliato presto per continuare a fare il proprio lavoro. Con la serietà di sempre. E senza la pretesa d’esser chiamato eroe.
(dal quotidiano “La Città” del 24/03/2020)