di DARIO CIOFFI

Tutti a casa, nessuno si muova. E però mai dire “rinvio” se si parla di vaccino per i bambini. Ignorati dai decreti presidenziali e ancor di più dal dibattito pubblico al tempo del Coronavirus – in cui s’è discusso dei “bisogni” dei cani e della possibilità di sgranchirsi le gambe con la corsetta degli adulti ma non d’esigenze e necessità dei figli – i bimbi ritrovano la propria “centralità” alla fatidica data dei richiami vaccinali. «Certo che vanno fatti», l’ordine dei pediatri di tutt’Italia, da Trieste a Mazara del Vallo. E chi poteva prevederlo, al momento dell’assegnazione del “prossimo appuntamento”, che la scadenza tanto temuta da grandi e piccoli – indistintamente, o magari a turno a seconda delle fasi – fosse coincisa con questa “fine del mondo” in progress?

Anima e coraggio. Fiducia e pazienza. Alle otto del mattino, sull’uscio dell’Asl di via Vernieri, nel cuore di Salerno, sono già schierati. Con la determinazione di chi, pur nell’umanissima improvvisazione d’una prima volta che vale per tutti, vuol mantenere un ordine mai così necessario. Ché, si sa, il giorno del vaccino è per antonomasia sinonimo di lunghe code, folla e attesa, tra gli sguardi miserabili di presunti furbi che saltano la fila e quelli teneri di bambini impauriti dalle urla di qualche coetaneo già “sotto puntura”. Gli operatori dell’Azienda sanitaria salernitana lo sanno e, siccome la regola numero uno per il contenimento del contagio è il “distanziamento sociale”, si mobilitano per tenere ben più d’un metro tra ogni coppia genitore-bambino (è consentito l’accesso a un accompagnatore soltanto).
Un impiegato sull’uscio gestisce il “traffico”. La vigilanza privata collabora, distribuendo le fatidiche autocertificazioni. I pre-stampati più scaricati dal web sono cambiati di recente, per la terza volta, e nel “gabbiotto” ci si accorge che i fogli sono “vecchi”, però tanto vale andare avanti aspettando le nuove fotocopie. La primavera s’è nascosta, il freddo, dopo le anime, da qualche giorno ha (ri)cominciato a gelare anche i corpi e quindi di tempo da perdere non ce n’è. Tutti in guanti e mascherine d’ordinanza, per provare a governare un caos calmo che resta tale grazie alla collaborazione degli utenti stessi.

Il modulo firmato, l’ingresso, il posto a sedere. Ci si ferma al piano terra. Si sale uno per volta, per ogni ascensore che vien giù ne salirà un altro. È l’efficacia delle cose semplici, un segreto che non tradisce mai. Al terzo piano la situazione non cambia. Il personale s’è distribuito lungo il corridoio per far sì che il rispetto delle distanze sia rigoroso. Non si entra più negli uffici per la “scheda” ma sono le operatrici in servizio a portarle ai genitori man mano che si avanza sino all’anticamera finale, pronti per il vaccino. È solo apparente l’attesa più lunga del solito, forse accentuata dal fatto che, rispetto alle consolidate abitudini, le distanze fisiche sembrano già essersi radicate, inconsciamente, pure nella testa. E così quei luoghi in cui le mamme e i papà, soprattutto di bimbi coetanei, ingannavano il tempo confrontandosi sulle più banali esperienze di crescita dei propri figli, improvvisamente scoprono un silenzio prima d’ora sconosciuto. Poche frasi, la maggior parte telegrafiche e di circostanza, spiaccicate sotto mascherine di fortuna, alcune cucite a mano, altre “usa e getta” ma che sembrano già stra-usate e non ancora gettate. È il modo, o forse la percezione, che la gente oggi ha di proteggersi: giusta distanza e poche parole.
Solo le grida dei bimbi rompono il silenzio. Ma quando si parla di vaccini sono lacrime per “giusta causa”.

(dal quotidiano cartaceo “La Città”)

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