di DARIO CIOFFI

La prima epidemia al tempo dei social è una “babele” in cui comanda il fango. Ce n’è ovunque, in ogni dove d’una piazza virtuale che mai come in questi giorni sostituisce quella reale, svuotata dall’ordine di “restare a casa”. La lente d’ingrandimento di quel fenomeno incontrollato esploso assieme all’epidemia è su un gruppo Facebook dedicato alla città di Pontecagnano Faiano, uno dei centri salernitani che nelle ultime ore ha registrato un’ escalation di contagi. Portando con sé l’inevitabile caccia all’untore.

L’umanissima paura che si mescola alla curiosità e che, quando si perde nel chiacchiericcio, spesso sfocia nell’inopportunità, insostenibile per chi, come la famiglia d’una persona risultata positiva al famigerato tampone, vive quello ch’è già di per sé un momento complesso. E che reclamerebbe solidarietà e rispetto, piuttosto che indici puntati addosso. Cavalcando quest’onda emotiva, con l’ansia d’un figlio in pensiero per il proprio papà, un giovane ha raccontato sugli stessi social che l’avevano “ferito” quel che si prova a convivere non soltanto con i pericoli del Coronavirus con cui combatte il proprio genitore, un poliziotto rispettato e stimato dai suoi concittadini, ma anche con il pettegolezzo della gente. Venti righe scritte con la penna del cuore, d’impulso, affidando a una bacheca Facebook lo sfogo d’un momento terribile.

«Decido di pubblicare questo post anche se ho capito che molte persone non so come abbiano ancora il coraggio di dire la loro parola senza connettere le sinapsi del cervello – l’accusa del figlio del poliziotto attualmente in isolamento come da protocollo sanitario – . Mio padre è risultato positivo al tampone, probabilmente ha contratto il virus sul proprio posto di lavoro e non perché sia uscito di sua spontanea volontà o senza un reale motivo. È in quarantena da più di due settimane, segregato in casa, non ha avuto nessuno contatto con persone di Pontecagnano oltre alla propria famiglia. Esiste la privacy ma in certe situazioni esiste anche il cervello da usare, cosa che, ho notato, molte persone non hanno. Non c’era bisogno di comunicarlo su questo gruppo ma solo all’Asl con chi sia potuto stare a contatto. Invece di diffamare, cercate di avere un po’ di solidarietà per le famiglie sfortunate che purtroppo stanno combattendo contro un male da non sottovalutare. Ci tengo a dirlo solo perché siamo in crisi per colpa di tutte queste persone che parlano e parlano ma nella loro vita non penso abbiano concluso qualcosa. Siete contenti ora?».

Parole come pietre. Che hanno suscitato un’onda di ritorno, d’affetto e solidarietà. Ben rappresentata dalle parole del sindaco di Pontecagnano Faiano, Giuseppe Lanzara: «L’importante è che tuo padre stia bene e superi questo momento – la risposta del primo cittadino – . Hai ragione quando dici che in questi momenti alcuni di noi danno il peggio. Io non apprezzo minimamente questa barbarie che si crea, l’ansia di sapere, di voler comunicare agli altri. Ma voglio anche dirti che la stragrande maggioranza delle persone che mi scrivono, in realtà, mi chiedono le condizioni delle persone contagiate, si preoccupano della loro salute e rivolgono gli auguri di pronta guarigione, perché sono delle persone civili».

È un messaggio che ripulisce un po’ di quel fango che pure continua a colare ancora, tra improbabili ricerche di “giustificazioni” e una volgarità gratuita che segna la decadenza d’un tempo che spesso pare non conoscere il limite del pudore. È lo stesso tempo in cui ieri l’altro, più o meno nelle ore in cui il figlio del poliziotto contagiato scriveva, a Salerno girava su WhatsApp il video d’un suicidio. Filmato, diffuso e poi inoltrato, così, come se la vita d’una persona fosse una qualsiasi barzelletta da “ hai visto che ti ho mandato? ”…

(pubblicato sul quotidiano “La Città” il giorno 02/04/2020)

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