di EDOARDO CIOFFI
“Distanti ma uniti”, uno degli slogan che in questo mese e mezzo ci ha accompagnato nell’emergenza sanitaria Covid-19. Un refrain di speranza e di vicinanza in un Paese falcidiato da numeri impietosi, legati ai contagi e ai decessi da Coronavirus. Un messaggio di unione che aveva l’intento di far compattare, idealmente, l’intera popolazione italiana contro quel nemico comune, terribile ed invisibile, che da Nord a Sud non ha concesso sconti, pur facendo la parte del “gigante” soprattutto nelle regioni settentrionali.
Il distanziamento sociale e le uscite in strada “solo per motivi strettamente necessari”, hanno fatto sì che la vita di tutti gli italiani venisse stravolta. Bambini “costretti” ai giochi in casa, con lo sguardo mestamente rivolto al mondo esterno, dietro i vetri dei balconi, a testimoniare una nostalgica voglia d’evadere dalle proprie mura. Fasce di lavoratori attaccate ai pc in smart working e tante altre obbligate ad uscire ugualmente da casa per onorare gli impegni lavorativi. Per non parlare di chi, in un’epoca di emergenza che ha investito tutti i settori della vita, il lavoro non ce l’ha proprio più.
In questo contesto, i messaggi di compattezza servivano alla gente a farsi forza, a tenere duro in vista del (graduale) ritorno ad una normalità ormai smarrita. Un gioco di squadra per sentirsi “vivi”, forti psicologicamente e pronti a battere il Coronavirus. Questi messaggi, però, col tempo hanno cominciato a perdere significato. Si sono sbiaditi, come quelle bandiere tricolore esposte da numerosi giorni sui balconi di diverse città italiane. Perché gli slogan, da sempre ed in qualunque ambito, lasciano il tempo che trovano se poi non sono supportati dai fatti, dalle azioni, dai comportamenti. E nelle ultime settimane, nel Belpaese, di “unione” se n’è vista poca.
“Guerre” mediatiche nei salotti tv, con diversi ospiti impegnati a duellare tra loro, nei rispettivi ruoli, per la bontà d’una affermazione detta in tempi non sospetti. Accuse, polemiche e ripensamenti, che hanno “stancato” anche i telespettatori, fortemente disorientati in questo bailamme venutosi a creare. In tal senso, hanno aperto le danze i medici Massimo Galli e Paolo Ascierto, in un acceso confronto avvenuto un mese fa in Rai, via webcam, sulla sperimentazione del Tocilizumab, farmaco anti-artrite reumatoide con effetti benefici anche in pazienti Covid-19 positivi, con polmonite. L’oncologo e ricercatore dell’Istituto Pascale di Napoli parlò dell’efficacia del farmaco in relazione agli effetti sul Coronavirus, attribuendo i meriti al proprio Istituto in collaborazione con l’ospedale Cotugno di Napoli. L’intervento di Ascierto, però, fu prontamente interrotto e “smentito” dal professor Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, che specificò come la sperimentazione del farmaco anti-artrite sui pazienti affetti da Covid-19 fosse iniziata già in Cina. Punti di vista differenti, “conditi” da pungenti accuse reciproche, anche tra i virologi Giulio Tarro e Roberto Burioni. Il virologo siciliano, ex primario del Cotugno, passato alla storia per aver isolato per primo il vibrione del colera nel 1973, sin dal principio della pandemia aveva ridimensionato il ruolo del SARS-CoV2, contrariamente al professore di origini marchigiane. Infatti, mentre Tarro (candidato per due volte al Nobel) rilasciava interviste in cui affermava che “il Coronavirus ci abbandonerà tra un mese, come tutti i corona influenzali, perciò non serve il vaccino“, il docente di Microbiologia e Virologia del San Raffaele di Milano poneva l’accento sulla pericolosità d’un virus “altamente contagioso e sconosciuto”, sottolineando l’importanza di limitarlo, “in attesa del vaccino ch’è fondamentale”. Posizioni diametralmente opposte, accentuate da confronti social in cui Burioni ha “accusato” il collega di essere “candidato al Nobel come io sono candidato a Miss Italia“, con la pronta replica di Tarro (“Burioni stia zitto, perchè può soltanto sfilare a Miss Italia“) .
Polemiche accese in diretta televisiva anche da parte di Vittorio Sgarbi, che a più riprese ha attaccato politici e medici circa la gestione dell’emergenza sanitaria. Il vulcanico saggista ferrarese, appartenente alla scuola di pensiero secondo cui il virus non rappresenti un pericolo tale da giustificare il lockdown del Paese, ha espresso in maniera netta il proprio dissenso sull’argomento Coronavirus ma, nelle scorse ore, si sono registrate anche “frecciatine” nel mondo della politica. In particolare, dopo le parole del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che aveva annunciato di “chiudere” la regione nel caso in cui si fossero allentate le misure nella cosiddetta “fase 2”, è arrivata la replica di Luca Zaia. A far discutere, sono state le dichiarazioni del governatore della regione Veneto, il quale pubblicamente ha affermato: “E’ il Sud che dice di chiudere le frontiere, quindi è il Sud che va contro il Nord”. In un Paese che avrebbe bisogno di messaggi distensivi e di buoni esempi, situazioni del genere non possono assolutamente essere accettate. E la distanza, al momento, è concetto tremendamente attuale che appare per certi versi incolmabile.