di DARIO CIOFFI

L’unica certezza è che nulla sarà più come prima, e sembrerà tutto terribilmente strano. Perché lo stadio è il luogo simbolo d’una aggregazione popolare che non conosce eguali, neppure le piazze gli si avvicinano, e si fatica a immaginare se sarà peggio vuoto (un po’ lo conosciamo, nel desolante deserto delle porte chiuse) o con i termoscanner al tornello, il metro e mezzo di distanza tra i sediolini e “il Borghetti” comprato con carta di credito. Le linee guida tracciate dagli scienziati “prestati” al calcio che verrà, post emergenza Covid-19, indipendentemente da se e quando i campionati ripartiranno tra qualche settimana senza pubblico sugli spalti, non lasciano molte speranze né spazi per la fantasia. E soltanto a legger le bozze dei possibili scenari s’intuisce che sarà un viaggio verso l’ignoto. Un altro sport e un altro mondo. Un futuro che farà una fatica del diavolo a lasciarsi accettare come presente.
E così, a voler fare un esempio, tanto per restare nell’universo granata d’una passione di provincia ch’è percepita più forte che nelle metropoli, spiegateglielo voi a “quelli della Coppa Italia” che la Salernitana dovranno vederla con la mascherina sul volto, e non sarebbe un dramma, ma soprattutto seduti al proprio posto, senza neppure sfiorarsi con il vicino che poi vicino non sarà, perché il distanziamento sociale non consentirà neppure d’abbracciarsi per ondeggiare spalla a spalla alle prime note di «Saltellando… canteremo la nostra canzone d’amor». Ché poi va specificato: “quelli della Coppa Italia” si chiamano così senz’alcun riferimento a grandi eventi del pallone nel Belpaese. Al contrario.

La Coppa Italia che dà loro “l’etichetta” non finisce con la finale dell’Olimpico di Roma e il Presidente della Repubblica in Tribuna, è semplicemente un caso d’omonimia. Quella “loro” è la Coppa Italia di serie C, la manifestazione che, se potesse parlare, a propria volta s’interrogherebbe sul perché esiste, visto che, finché non s’arriva all’ultimo atto, nessuno la sopporta tra calciatori, allenatori, dirigenti, tifosi e persino giornalisti che in quei mercoledì pomeriggio hanno nostalgia pure dei notiziari dei siti di bandiera sui “riscaldamenti a secco” e le “esercitazioni nei tiri in porta”. Tutti la detestano ma loro, i tifosi più accaniti, non la snobbano né tanto meno la disertano. Non saltano una partita.

Sì, “quelli della Coppa Italia” sono così. Non sono tantissimi, un centinaio più o meno, ma si riconoscerebbero in una folla di 30mila persone perché sono i volti di sempre, a distanza di anni qualcuno è un po’ più invecchiato ma “il tempo passa per tutti, lo sai” – a dirla con gli 883 che da queste parti rievocano cose serie – e in fondo altro non è che un testimone di fedeltà. Loro s’avvicinavano, in quei mercoledì pomeriggio – che vivaddio la Salernitana non conosce più da un lustro, cioè da quando è tornata in serie B – in una Curva con quattro gatti. Si stringevano. S’azzeccavano. Perché in meno si è e più tocca compattarsi. E più ci si diverte.
È sempre andata così, in un calcio scandito da poca gloria ma così tanta passione granata che altrove c’è ancora chi s’interroga sul “segreto”. Di quegli esodi apparentemente senza senso. Di quelle mobilitazioni d’una autenticità viva senza chissà quali risultati da rincorrere. Di quelle scenografie così maestose che fai fatica solo a immaginare da dove si cominci per realizzarle.

A “quelli della Coppa Italia”, e poi a tutti gli altri, occorrerà spiegare che la generazione dei Borghetti che passano da mano in mano, e di bocca in bocca, è stata mandata in pensione dal Coronavirus e dalla scienza, assieme a quella dell’abbraccio fraterno con uno sconosciuto dopo un gol. Se davvero passerà la “bozza” da brividi importata dall’America non ci sarà più balaustra né megafono per il lancia-cori. Non ci sarà più «guajo’, abbassa ’sta bandiera» mentre parte il cross dalla fascia. Non ci sarà più il “Tonino ’o brasiliano” di turno, con un mazzetto di contanti a mo’ di benzinaio tra le mani, a portare acqua gelata con la sua bacinella in mezzo alla gente che canta, suda e soffre.
Si berrà ancora, ma si comprerà tutto via smartphone. Magari si canterà pure ancora, però restando distanti e seduti. Allo stadio si entrerà senza spingere e invece che perquisirti all’ingresso ti misureranno la febbre (o forse faranno l’uno e l’altro). Chissà se “quelli della Coppa Italia” ci saranno ancora. L’unica certezza è che nulla sarà più come prima, e sembrerà tutto terribilmente strano…

(pubblicato sul quotidiano “La Città” del giorno 06/05/2020)

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