di DARIO CIOFFI
Lo chiamano “deputato-ultrà” e per lui non è certo un’offesa. Anzi. Daniele Belotti rivendica con orgoglio i suoi «45 anni di Curva». La Nord dell’Atalanta. E un po’ gli sembra strano, per la prima volta, dover fare il controcanto ai suoi amici. Ché poi non solo quella di Bergamo, ma un po’ tutte le tifoserie d’Italia, hanno scelto – ipse dixit – il “no alla ripresa del campionato”. «Anche a Salerno, vero? Io capisco, però la penso diversamente», racconta il parlamentare della Lega che sorride pure sul titolo d’onorevole: «Poche formalità, sono uno da stadio».
L’altro giorno alla Camera, a proposito di ultras, ha “contestato” l’intervento del ministro dello sport Vincenzo Spadafora.
Certo, come fai a fidarti d’un Governo che dà 45 milioni di euro all’élite che organizza l’Olimpiade 2026 e lascia poco più di 100 euro, perché quella è la cifra, per la sanificazione d’ognuno dei circa 150mila impianti sportivi che abbiamo in Italia?
I numeri però sanno molto di “scontro politico”. Parliamo di calcio?
Benissimo. Perché il calcio non riparte? Forse perché hanno portato sul tavolo della Federazione un protocollo sanitario scaricabarile. La vicenda del campionato della sfiga, poi, è incredibile.
A cosa si riferisce?
Un calciatore positivo manda tutta la squadra in isolamento. E cioè lo scudetto non lo vince chi è più forte sul campo ma chi becca il terno al lotto. Mentre altrove…
Meglio il modello tedesco?
Lì intanto sono ripartiti, noi aspettiamo ancora di capire se e come le squadre si alleneranno.
Ma a lei ch’è “uomo di Curva” non fa strano, eufemismo per non dir altro, vedere partite a porte chiuse?
Ovvio. È uno scenario bruttissimo, però per un po’ bisogna metter da parte l’orgoglio e pensare a quanto importante possa essere la ripartenza dei campionati di serie A e B.
Discorso di “sistema”.
Sì, ed è decisivo. Tutto lo sport italiano vive sui contributi del grande calcio. Il sentimento, la passione e l’ideale che noi abbiamo dev’esser sacrificato per qualche mese, così da far in modo di correre a salvare il dilettantismo, l’attività di base, i bambini. E si può fare solo sbloccando i soldi dei diritti tv e le pubblicità delle scommesse. Così, forse, si darà speranza a quel 40-50% d’associazioni senza risorse finanziarie e quindi a rischio chiusura.
C’è però chi dice che non ripartire sarebbe anche un segno di rispetto per le tante vittime dell’epidemia.
La mia Bergamo è una delle città che ha pagato di più. Abbiamo vissuto giorni terribili, ora speriamo che la situazione stia migliorando. A me piacerebbe che l’Atalanta dedicasse alle vittime bergamasche un grande risultato in questo finale di stagione, magari in Champions League.
È il valore sociale dello sport…
Esatto. Il calcio non s’è mai fermato a lungo, neppure durante la Seconda Guerra Mondiale. E anche stavolta può aiutare l’Italia a ripartire. Lanciando un grande segnale di speranza.
Una delle ipotesi avanzata è stata giocare al Sud. Le sembra una soluzione valida?
In stadi a porte chiuse, dopo che le squadre sono state isolate in ritiro, a Bergamo o a Salerno non credo faccia molta differenza. È chiaro che a noi piacciano altri stadi.
Tipo…
Sì, proprio tipo l’Atleti Azzurri d’Italia del 1995 per Atalanta-Salernitana. Lo spareggio. Che poi spareggio non era, anche se in una partita secca, l’ultima di campionato, c’era in palio la serie A. Festeggiammo noi, però che spettacolo. E poi ho un rimpianto.
Quale?
Non esser mai stato all’Arechi. Io li ho girati quasi tutti gli stadi, ma Salerno mi manca. C’è tempo per rifarsi, magari se i granata vincono la B. Intanto deve riprendere il calcio. Per salvare tutto lo sport.
(pubblicato sul quotidiano “La Città” del 18/05/2020)