di STEFANO MASUCCI

“Era bravo nella direzione di un’orchestra, ma era un fenomeno nel sapere tirare fuori il meglio dai suoi musicisti. D’altronde lui dava tutto, arrivava a fine giornata di prove distrutto, per noi era difficile rimanere indifferenti di fronte a tutto questo. Lo chiedeva proprio, con le parole e con i fatti…”. Il ricordo di Ezio Bosso, direttore d’orchestra, compositore e pianista scomparso lo scorso 15 maggio, vivrà soprattutto in quegli orchestrali che hanno avuto il fregio di potersi misurare con il suo genio musicale e la sua passione per la vita, quei musicisti che dall’esperienza con il maestro andato via a solo 48 anni per l’aggravarsi della malattia degenerativa della quale da tempo soffriva, ne sono usciti arricchiti, come ad esempio Leonardo Cafasso. Diplomato al conservatorio di Salerno in contrabbasso, il 28enne ha avuto la fortuna di incrociare più volte la sua carriera con quella di Bosso, per una serie di concerti che difficilmente dimenticherà.

A quando risale il primo incontro tra voi?

La scorsa estate è stato direttore ospite a Benevento, per l’orchestra filarmonica della quale faccio parte. C’è stato un concerto al Teatro romano, un luogo molto bello e suggestivo, lui ha conosciuto la nostra realtà ed è rimasto affascinato. Un’orchestra composta tutta da ragazzi, nata come una sorta di collettivo che si autogestisce ed organizza eventi dopo essere partita praticamente da zero. Oltre lui abbiamo ospitato anche Nicola Piovani e altri solisti molto importanti.

Poi arriva la chiamata inattesa…

Inizio settembre, il maestro doveva fare dei concerti in Puglia, degli eventi didattici finanziati dalla Regione per favorire la diffusione della musica classica. Aveva la necessità di ampliare la sua orchestra e ha pensato a una ventina di noi dell’orchestra di Benevento; abbiamo avuto la fortuna peraltro di suonare con musicisti di altissimo livello. Le nostre prove erano aperte al pubblico, e lui interagiva con la gente. Spiegava la sinfonia, aveva la capacità di rendere semplice e accessibile a tutti argomenti complessi.

Cos’ha provato a suonare per lui?

Era un onore per me, oltre che un piacere. Era ovviamente bravissimo nella direzione, ma tirare fuori li meglio dagli orchestrali era la sua missione. Già l’esperienza di Benevento era stata sorprendente per me, anche perché conoscevo il personaggio mediatico, grazie a Carlo Conti che lo aveva chiamato a Sanremo e fatto conoscere al grande pubblico, ma parliamo di un pianista eccezionale oltre che di un direttore di orchestra, di una persona di spessore, uno che sapeva bene quel che faceva, che studiava tantissimo e che aveva le idee sempre molto chiare. Sono rimasto impressionato….

C’è anche un’esibizione in Rai…

Sì, per il programma “Che storia è la musica”. Furono registrate due puntate, una andò in onda in estate, l’altra a Natale su Rai 3. Era sempre lo stesso principio, spiegare la musica e la sua storia ai telespettatori. Mi ha fatto sorridere rivedermi in tv, anche se onestamente mi interessava di più aver suonato con lui e con altri musicisti di alto livello.

Che ricordo si porterà dietro del maestro Bosso?

Non posso vantare chissà che rapporto di amicizia, ma ricordo nei giorni di prova, anche quando si faceva una pausa e si andava al bar, lui veniva con noi. Si scherzava, si chiacchierava, quando ho saputo della triste notizia ho ripensato alle piccole cose, alle prove, ai momenti passati insieme, ai consigli, e ai suoi insegnamenti. Sicuramente ho avuto a che fare con una persona che mi ha lasciato qualcosa…

 

(pubblicato sul quotidiano La Città di Salerno il 23/05/2020)

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