di DARIO CIOFFI

Non piangono i deboli. Piangono gli uomini. E in questo tempo disadorno, scandito da arroganti rivendicazioni di presunti depositari della verità irritati dalla semplice esistenza d’un contraddittorio, le umanissime lacrime di commozione del professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, sono una riconciliazione con un senso di normalità perduta. È la reazione d’un uomo del Sud che da oltre quattro mesi combatte il Covid h-24, ogni santissimo giorno, uno scienziato figlio della provincia di Salerno, di quel Vallo di Diano che, siccome il destino a volte sembra giocare con dadi truccati, ha pagato un prezzo carissimo in questa emergenza sanitaria. “Peppe” Ippolito è nato a Sant’Arsenio, d’un soffio fuori da quella zona rossa salernitana (Atena Lucana, Auletta, Caggiano, Polla e Sala Consilina) dove il Coronavirus ha colpito a morte. E allora non è mera suggestione pensare che quelle lacrime che ieri hanno solcato il volto del prof in diretta Rai, alle otto del mattino, durante la puntata di Agorà subito dopo le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, avessero pure un riferimento a quei luoghi del cuore, al fatto d’aver conosciuto, sia pure solo tra mille telefonate, paure, preoccupazioni e lutti di gente che probabilmente non ha potuto neppure piangere.

C’è tutta l’umanità d’uno scienziato autentico dietro quell’appello a una responsabilità da non smarrire, con voce un po’ tremante, proprio nella festa nazionale del 2 giugno: «Non disperdiamo i sacrifici degli italiani che hanno lavorato in questi mesi e hanno vissuto in povertà o hanno tenuto in 40 metri quadri di casa i propri figli. Non facciamo polemiche attorno alla malattia, oggi dobbiamo ricostruire l’Italia, non ci bastano più i livelli del Piano Marshall. Stiamo ripartendo e dobbiamo pensare alle bare che uscivano dall’ospedale di Bergamo. Dobbiamo essere uniti, il resto è inutile polemica».

Ippolito il Covid l’ha sfidato fin dall’alba dell’emergenza. Perché proprio allo Spallanzani di Roma finirono ricoverati i due turisti cinesi provenienti da Wuhan. La “guerra” è iniziata lì e il professore l’ha combattuta, e continua a farlo, sui fronti dei laboratori e delle corsie. Dove val la pena spendersi. Certo, anche lui è stato spesso in tv, però senza mai (s)cadere in quell’individualismo oltranzista che ha trasformato il pubblico dibattito, in assenza del calcio, in uno scontro tra tifoserie che adottavano lo “scienziato del cuore”.
A turno, improvvisandosi un po’ troppo ultrà delle rispettive tesi, i nuovi “volti noti” della televisione, così sovresposti mediaticamente che vien da chiedersi dove abbiano trovato il tempo di scoprire quel che dicevano, hanno parlato di “nulla di serio” e virus killer, d’influenza e “guai a uscir di casa”, polmonite assassina da cui però forse (sì, pure questo abbiamo letto) “il fumatore è protetto di più”, fino ad arrivare allo scontro attuale. Spesso stucchevole. L’emergenza è alle spalle oppure no? E qual è il confine tra prudenza e “terrorismo” comunicativo? Ippolito ha incarnato questa figura di rassicurante e però mai banale equilibrio. Parlando un linguaggio chiaro, perché si può essere scienziati pure con l’eloquenza di chi prende un caffè al bar in piazza a Sant’Arsenio.
Sarà che questa provincia a Sud di Salerno, nel territorio valdianese in particolare, produce davvero una ricchezza umana che ci permette d’esportar eccellenze. È il caso, tra gli altri, d’un gigante dell’avvocatura quale fu il salese Alfredo De Marsico, d’un magistrato d’inchieste epocali come il pollese Rosario Priore, dell’oncologo di fama internazionale Michele Maio, originario di Padula. Figli di cittadine e paesi dove nasci già con la valigia sul letto e però con la consapevolezza che in quel bagaglio porterai sempre valori antichi, annodati tra le radici della propria terra.
C’è tutto questo, evidentemente, nelle lacrime del professor Ippolito alle parole del presidente Mattarella. C’è una vita spesa al servizio degli altri, e segnata pure da un dolore inimmaginabile come perdere una madre in un indicente stradale – a maggio 2016, sulla Cilentana – in cui lui stesso rimase ferito, un senso di rispetto verso i sacrifici fatti in ogni casa in un periodo che ha messo in ginocchio l’Italia non solo con decine di migliaia di morti ma pure per le conseguenze d’una economia che ha solo cominciato a contar le sue macerie. È in nome di tutto questo che non si dà nulla per scontato, che non si può né si deve pensare che ora sia un problema d’altri. La lezione del prof è tutta lì, nella commozione della sua narrazione. Non piangono i deboli. Piangono gli uomini.

(sul quotidiano “La Città” del 03/06/2020)

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