di DARIO CIOFFI
Nostalgia, nostalgia canaglia. Sì, perché in un pomeriggio di calcio nel deserto finisce per mancar tutto, persino l’abusivo che di solito chiede l’euro per il parcheggio dopo che l’hai già pagato al Comune. E t’incazzi. Invece stavolta no. Così, siccome siamo sempre desiderosi di quel che non abbiamo, stavolta sei triste perché non t’incazzi. E con chi, poi? Nel piazzale antistante la tribuna dell’Arechi, alle cinque del pomeriggio, un’ora prima che inizi Salernitana-Pisa, non c’è un cane, giusto qualche auto parcheggiata fronte mare che a quell’ora ti sembra cristallino come la Sardegna pure se da vicino schiuma qualcosa che non sai cos’è (di sicuro non natura). Mezzi blindati di polizia e carabinieri presidiano il perimetro dello stadio con il nome da principe ma è come chiamare uno chef senz’avere a cena nessuno.
Tra porte chiuse e protocolli così rigidi da sembrare fuori dal tempo, oltre che dalla logica, questa bolla silenziosa e triste, in cui hanno fatto ripartire lo sport che fa più rumore nel Belpaese, mette soggezione solo a entrarci e incontrare qualcuno in carne e ossa. Due steward “sparano” alla fronte il termoscanner, un’autocertificazione ti fa giurare che non hai la tosse, e presumibilmente neppure il Covid, e così quel profumo dell’erba svanito in una sera di marzo, mentre il Governo chiudeva l’Italia e il virus bucava pure il pallone, torna a esser se non inebriante quantomeno intenso. Riconoscibile pure ai nasi coperti dalle mascherine. Se n’è portate persino due Claudio Lotito (una chirurgica e una più “seria”), il multi-patron che s’è battuto sin dal giorno in cui è esplosa la pandemia per l’immediata ripresa dei campionati sempre e solo da presidente della Lazio, e ora alla prima occasione utile si ricongiunge – termine assai in voga al tempo del Coronavirus – al socio e cognato Marco Mezzaroma .
Bentornati all’Arechi. Vuoto ma almeno riaperto. Riaperto e però vuoto. È sempre il giochino del bicchiere. La questione della prospettiva. L’ottimismo della serenità che si riavvicina o il pessimismo per una normalità ch’è troppo lontana. Facciamo (almeno) finta che prevalga la prima tesi? Via con la musica, allora, pure se manca chi può ballarla. Fanno sorridere le panchine “improvvisate” con sedie distanziate, anche se nello spogliatoio i calciatori stanno tutti assieme. Via al riscaldamento: Vasco canta “T’immagini” ma di “fantasie che volano libere” da queste parti fai fatica a trovarne. Occhi bassi, allora. Cerci sfila guardando la Curva, chi o cosa cerchi esattamente non si sa perché non c’è né può esserci un’anima, mentre prima del fischio d’inizio le squadre entrano in campo da lati opposti: la Salernitana dal solito tunnel su cui s’affaccia la Sud, il Pisa invece dalla Nord. Ventura sbuca in mascherina granata, fa venti metri e poi la mette via. A 72 anni, dopo 35 da allenatore, ecco una cosa che gli mancava. L’altoparlante ora dà “Urlando contro il cielo” ma qui urlare o parlarsi nell’orecchio non fa molta differenza: si sente tutto. Pure la telefonata d’un “addetto ai lavori” durante il minuto di silenzio per le oltre 30mila vittime del Covid. Proprio della serie: “Non sono morti suoi”.
Poi si può (ri)partire. Lo spettacolo non è granché ma dal punto di vista della forma fisica questa partita andrebbe paragonata alla prima amichevole d’estate, la sgambatura con i fratini addosso contro i boscaioli locali prestati alla squadra del paese che ospita il ritiro. Stavolta, invece, è partita vera. Perché il virus ha cambiato il calcio che adesso, più che far divertire, ha il compito di far compagnia alla gente, d’accompagnarla verso una ritualità più “leggera”, che restituisca agli assatanati toni da bar dello sport i commenti di prestazioni indecenti o eccitanti, sostituzioni sbagliate o visionarie e risultati da incubo o favola. Basterà questo per smetterla un po’ con improvvisati e improbabili dibattiti su una scienza troppo spesso “bucata” dagli scienziati stessi, per non parlare di politici e opinionisti di fortuna nella maratona permanente del dolore e dell’angoscia mischiati alla confusione degli ultimi tre mesi e mezzo. Di tutto questo, evidentemente, non ha nostalgia nessuno…
(pubblicato su “La Città” del 21/06/2020)