di DARIO CIOFFI

Chapeau, Jean Daniel. Ma che Akpa Akpro fosse un calciatore di serie A, e non ci giocasse più dopo esser stato capitano del Tolosa in Ligue-1 solo perché tormentato dagli infortuni, s’era ormai capito da un pezzo. Il discorso stavolta è più ampio. Più serio. E (ri)porta alle radici di quel tema, la multi-proprietà, su cui il calcio italiano dovrebbe interrogarsi, responsabilmente, per garantire equità e rispetto a tutte le piazze in cui rotola il pallone nel Belpaese. Sì, perché la Salernitana che si vede privata del suo miglior calciatore dell’ultima stagione, visto che il pluri-patron Claudio Lotito decide di tenerlo per sé alla Lazio, strappandolo alla “figlia di secondo letto” dato che può esser funzionale alla vera “cocca di papà”, non è semplicemente roba da lavare in famiglia come panni sporchi qualsiasi. È un caso nazionale da affrontare con la stessa determinazione con cui, quando si vuole, vedi la complessa ripartenza dei campionati in piena pandemia, ci si pone domande e si trovano immediatamente le risposte.
Il caso Akpa è un eccellente esempio-prototipo per fotografare la situazione d’una multi-proprietà calcistica (in Italia ce ne sono altre due “dichiarate” tra i professionisti: De Laurentiis padre e figlio, Aurelio e Luigi, a Napoli e Bari, e Maurizio Setti sull’asse Verona-Mantova). Lotito, che non è solo il patron di tutto, è pure uno che decide tutto (anche se a Salerno è al 50% con il socio e cognato Marco Mezzaroma), stravedeva per il calciatore franco-ivoriano. Il contestato ds Fabiani glielo portò in granata a febbraio del 2018, da svincolato e che non toccava campo da oltre un anno, con un contrattino del tipo “cominciamo e se va bene poi si vede”: ci volle qualche mese per convincersi, e dopo due stagioni e mezzo Akpa s’è imposto come uno dei migliori centrocampisti della serie B, uno ch’è lo scarto rispetto alla norma in una categoria con cui c’entra poco. Il multi-presidente se n’è così “innamorato” che nell’ormai celebre video al ristorante, in cui “scava la fossa” a Ventura da allenatore della Salernitana, rimprovera proprio il cambio del transalpino: «Ma è matto! Ha tolto Akpa!».

In scadenza di contratto con i granata, con richieste da più parti, soprattutto dalla Spagna, Jean Daniel è stato ritenuto utile al progetto Lazio. Un irrituale eppure non unico caso di “migrazione al contrario”, dopo Sprocati (che in biancoceleste fu di fatto solo di passaggio) e Casasola (praticamente mai visto, invece, a Formello). Va da sé che stavolta sia tutto diverso. Nell’immaginario collettivo e nella sostanza. Perché Akpa era, anzi doveva essere, il pilastro della Salernitana chiamata per l’ennesima volta a raccogliere i cocci d’una stagione insoddisfacente, visto il mancato approdo ai playoff per il quinto anno di fila.
S’era detto di non smantellare, di confermare tutti i migliori e poi rinforzare la rosa. Bravi, bene, bis. E passi pure la scelta di puntare su un tecnico come Castori che certo non ha scatenato fantasia e suggestioni della piazza (in fondo, dopo il decimo posto del “maestro” Ventura, anche l’idolatrato Delio Rossi avrebbe fatto una fatica del diavolo a scaldare l’animo gelido del popolo dell’ippocampo). Ma sì, passi tutto, tranne che la prepotente forzatura d’una operazione che non si giustifica se non nella subalternità riservata alla squadra granata rispetto a quella biancoceleste.
Sia chiaro, a raccontarla tutta lo status di “seconda figlia di papà” per oltre un lustro alla Salernitana ha fatto comodo. Perché la proprietà Lotito-Mezzaroma, dall’alba del Salerno calcio nel 2011 e fino alla conquista della B nel 2015, ha incarnato il modello di società che ogni tifoso vorrebbe avere. Solidità economica, potere d’acquisto, appeal nei confronti dei calciatori presunti big abbagliati quando occorreva dalla chance – chissà quante volte, a Villa San Sebastiano, s’è fatto questo discorso – di far bene con l’ippocampo per poi volare alla Lazio. Risultato: tre promozioni, una Coppa Italia di Lega Pro e una Supercoppa di Seconda Divisione.
Lì è finito l’idillio. E s’è interrotta l’escalation. Da un lustro, tra i cadetti, la Salernitana scampa incubi senz’aver mai regalato un sogno alla sua gente, e il peso di sentirsi – Michele Novaro e Goffredo Mameli perdoneranno il paragone irriverente – “schiava di Roma” s’è ormai fatto insostenibile. Il caso Akpa, che un po’ rievoca la (ri)chiamata nella Capitale di Simone Inzaghi dopo il “gran rifiuto” di Bielsa, accentua questi sentimenti. Di brutto. Perché se è vero – e lo è – che calciatori bravi e di prospettiva come Dziczek e Lombardi, su cui la Lazio ha investito, sono a Salerno per effetto della multi-proprietà, è altrettanto innegabile che dalla Capitale non facciano regali né miracoli senza nulla in cambio, vedi il tesseramento in biancoceleste di Maistro, ora nel giro della Nazionale Under 21 e potenzialmente patrimonio prezioso del cavalluccio marino.

E non basta certo, come più volte s’è sentito dire, liquidare la questione con un «cosa interessa al tifoso?». Domanda retorica. Sì che interessa, quando all’alba d’un campionato, che all’ombra del Castello d’Arechi già nasce tra uno scetticismo da picco storico, si vede Lotito privare la Salernitana del suo calciatore più forte per consegnarlo alla Lazio. Se Akpa fosse finito altrove, alla Fiorentina o al Psg, persino in serie A maltese, sarebbe stato tutto nella norma, nel rispetto della legittima e umanissima ambizione d’un atleta di disputare un campionato di categoria superiore che da un triennio a Salerno non gioca né avvicina. Tenerlo invece nello stesso “regno”, aprendogli la porta del sottoscala, in cui s’è messo in luce, per fargli vedere l’atrio radioso dove quest’anno si sentirà persino la musichetta della Champions, scopre una realtà che anche al più realista ed equilibrato dei tifosi fa male da morire. Ognuno è complice del suo destino e che la Salernitana diventasse espressione d’una multi-proprietà lo si sapeva da nove anni, cioè da quando nel Salone dei Marmi di Palazzo di Città, invitati dall’allora sindaco De Luca, anche diverse centinaia di supporters votarono con l’applausometro la proposta Lotito-Mezzaroma (già ampiamente approvata dal Comune). Si ripartiva dalla serie D, il campionato nazionale dilettanti mai giocato nella storia della Bersagliera, e così il rischio “incompatibilità” con la Lazio venne praticamente ignorato da tutti, tanta era ancora la strada da fare. Ai co-patron la gente chiese l’ippocampo e la denominazione originale “Us Salernitana 1919”, accettando di buon grado, dopo la promozione tra i professionisti del Salerno Calcio che non tutta la torcida seguì, la deroga della Figc all’epoca a guida Abete. Ed è qui che ritorna il problema delle Noif, le norme su cui l’attuale presidente federale Gravina, il suo vice Sibilia e molti altri consiglieri (lo è anche Lotito) hanno più volte sollecitato «una riflessione». Nel caso dell’attuale società granata ci sarebbe persino un’immediata via d’uscita, risolutrice, con l’eliminazione del vincolo di parentela che consentirebbe a Mezzaroma d’esser proprietario unico senza obbligo di vendere le quote in tutta fretta in caso di promozione in serie A, né di lasciare alla privilegiata Lazio ogni calciatore che fa abbastanza bene alla Salernitana da poter essere sacrificato sull’altare d’una gerarchia che mortifica una storia ultra-centenaria. In un tempo disadorno e in cui si fa a gara a chi più strilla, svolazzando “Lotito vattene” come se un proprietario potesse esonerare se stesso dall’azienda che dirige, riducendo tutto a uno slogan che porta consenso e like ma non ha alcun legame con realtà (non perché “se va via Lotito non c’è alternativa”, bensì perché non c’è alternativa che acquisti ora il club da Lotito, o almeno non s’è palesata), il tema multi-proprietà sembra l’unica concreta strada da percorrere. Alla ricerca d’una svolta futura che invoca tutto il popolo granata, anche quella parte più silente, sfilatasi nel suo disincanto. Le Noif, se n’è avuto esempio in passato, possono esser cambiate in un’ora di Consiglio Federale. A patto che il calcio italiano – che viaggia verso il voto anche se il Covid ha stravolto pure le date del quadriennio olimpico – prenda coscienza che sia ora d’affrontare il problema. Seriamente. E se qualcuno, tra i potenti, dovesse cadere dalle nuvole, raccontategli la storia di Akpa, consapevole “traditore” d’una “figlia di secondo letto”…

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(pubblicato su “La Città” del 22/08/2020)

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