di DARIO CIOFFI

«Negativo al Covid. Sono guarito. Anzi, no…». Il Ciro Immobile de noantri è un ingegnere salernitano di 36 anni che non ha mai vinto “la Scarpa d’oro” ma che proprio come il goleador della Lazio s’è trovato a vivere l’odissea di tamponi contraddittori. A tre ore di distanza l’uno dall’altro. Meno rumorosa della bomba mediatica esplosa nel calcio, ma ugualmente seria, la storia raccontata da Matteo – nome di fantasia, ndr – dà l’idea, inquietante, di come il Covid possa passeggiare sul nostro Lungomare (pardon, quello è chiuso! Facciamo il Corso…) a completa insaputa di chi ne è portatore perché infetto. L’ingegnere, papà di due bimbi, è persona prudente. Per fortuna. Però la narrazione delle sue ultime settimane, se traslata a un irresponsabile (potrà esser già capitato, ovviamente) diventa vicenda potenzialmente gravissima. Pericolosa.

È l’ultima decade di ottobre, il padre di Matteo rientra a Salerno dopo un viaggio di lavoro in Sicilia. I due s’incontrano e, pochi giorni dopo un pranzo insieme, il papà dell’ingegnere finisce a letto con la febbre. Eccolo, il Covid. Con i classici sintomi che son diventati “familiari” anche a chi fin qui è riuscito a scansarli: temperatura attorno ai 38, perdita di gusto e olfatto, vari dolori, ovviamente paura che la situazione possa aggravarsi. Non accadrà, ma intanto, dopo i contatti con medico di famiglia e Asl, il padre di Matteo si sottopone al tampone che dà esito positivo.

Anche il figlio, come prassi impone, fa il test in quanto “contatto stretto”: è asintomatico ma a sua volta infetto. L’ingegnere rispetta i protocolli che abbiamo imparato a conoscere come le canzoncine dell’estate: va in isolamento evitando di avvicinarsi a moglie e figli, attende i canonici dieci giorni da quando è risultato positivo al Covid e si prepara al secondo tampone. Quello che dovrà dirgli se è guarito (o si è negativizzato, come preferisce la corrente di pensiero che non dà del “malato” all’asintomatico) oppure no. Con l’ansia di riabbracciare i suoi bambini, ma pure di rientrare quanto prima a lavoro, Matteo si muove su due fronti: prenota un test all’Usca (le Unità speciali di continuità assistenziale allestite appositamente dall’Asl in tempo d’emergenza sanitaria) e fa lo stesso presso un laboratorio privato della provincia di Salerno. Un doppio tampone, sostenuto nel medesimo giorno a distanza di tre ore, un po’ come misurarsi la febbre con due termometri diversi, anche se non è esattamente la stessa cosa. Ed è qui che il 36enne vive uno dei pomeriggio più surreali della sua vita.

«Arriva per primo il risultato del centro privato: negativo – racconta Matteo -. Un sospirone di sollievo, una liberazione. Ero già pronto per ricominciare la mia vita di tutti i giorni lasciandomi alle spalle questa brutta esperienza, che non auguro a nessuno pur avendo avuto la fortuna di viverla senza reali problemi di salute, quando il secondo esito è stato come una doccia fretta. Poco dopo, infatti, l’Usca di Fisciano mi ha comunicato che sono ancora positivo. E se fossi andato subito ad abbracciare mia moglie e i miei figli? E se avessi preso un caffè con degli amici per condividere on loro la mia felicità? Tremo solo a pensarci…».
I ragionevoli dubbi di Matteo restano interrogativi inquietanti nei giorni bui dell’esplosione del contagio. Perché se è vero che la prima arma per combattere la diffusione del virus è la responsabilità, altrettanto innegabile è la pericolosità di situazioni simili a quella vissuta dall’ingegnere salernitano che, volutamente sottopostosi a due test molecolari contro ogni prassi, ha avuto nella stessa giornata esiti agli antipodi. Un po’ – appunto – come capitato a bomber Immobile e ai suoi due colleghi calciatori della Lazio, positivi per il laboratorio di riferimento Uefa prima della Champions e negativi invece per il centro di Avellino che cura il protocollo della serie A. «Il tampone è una foto», spiegano – e almeno su questo sono tutti d’accordo – i tanti virologi che monopolizzano i talk show nazionali da quasi un anno. Se però lo stesso soggetto sorride o piange in un unico scatto, a seconda dell’obiettivo, allora sì ch’è un problema…

(pubblicato sul quotidiano “La Città” del 09/11/2020)

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