Ormai da quasi un anno, le partite di calcio si svolgono rigorosamente a porte chiuse, a causa della pandemia legata al virus Sars-Cov-2. Nell’Italia divisa in “zone”, dove le regioni bisettimanalmente si “colorano” in giallo, arancione o rosso a seconda dell’indice di contagiosità RT, il calcio è andato comunque avanti in questi mesi. Nonostante gli stadi deserti, gli ultras delle squadre di calcio destinatari di provvedimenti Daspo (divieto d’assistere alle manifestazioni sportive) ed obbligati a comparire in questura per apporre la firma durante la disputa delle partite, hanno continuato a firmare. Ai ragazzi “diffidati”, nella maggior parte dei casi, non è stato applicato alcuno sconto, malgrado una situazione di emergenza sanitaria in atto. Sulla vicenda, si sono espressi diversi legali esperti in materia di tifo e reati da stadio, che sono intervenuti ad un dibattito web organizzato dal giornalista francese di “Le Monde”, Sebastien Louis, già autore del libro “Ultras, gli altri protagonisti del calcio”.
Louis ha posto alcune domande mirate a quattro stimati avvocati italiani, per provare a comprendere quali siano state le ragioni che hanno portato gli ultras del Belpaese (circa mille) a non ricevere alcuno “sconto” in un’epoca così complessa per tutto il mondo, dove finanche le uscite dalla propria abitazione spesso vanno motivate con autodichiarazione.
“In questi mesi, abbiamo lavorato bene con diverse questure italiane e siamo riusciti ad ottenere alcune sospensioni dell’obbligo di firma. Tuttavia, a tanti altri ragazzi è stata negata questa possibilità e sono tuttora costretti a firmare, nonostante gli stadi siano chiusi”, ha dichiarato il principe del Foro di Udine, Giovanni Adami. L’avvocato friulano ha poi chiarito come sia mutata nel tempo la misura del Daspo, da strumento di prevenzione a strumento di punizione: “La Corte di cassazione ha stabilito che l’obbligo di firma serve a garantire che il prevenuto non faccia il furbo e non si rechi allo stadio nonostante il Daspo. Con gli stadi chiusi, però, non riesco a cogliere il senso dell’obbligo di firma. Più che di misura preventiva, si tratta di una misura punitiva. Per alcune settimane, a causa dell’emergenza sanitaria, tutta Italia è stata zona rossa, eppure in tanti sono dovuti uscire di casa per andare a firmare durante la partita della propria squadra del cuore. Un notevole rischio per la salute di tutti, visto che diverse persone si sono mescolate ad altre all’interno degli uffici della questura, creando assembramenti. Ad essere esposti al rischio contagio non sono soltanto gli ultras ma pure gli ispettori di Polizia”.
Gli ha fatto eco il legale leccese Giuseppe Milli, che ha sottolineato come “dal 1989 c’è stata una stratificazione legislativa del Daspo. Stiamo assistendo ad una repressione dilagante, anche in un momento assai particolare come la pandemia”. All’avvocato romano Lorenzo Contucci, invece, Louis ha posto domande circa la vicenda del catanese Antonio Speziale, recentemente scarcerato dopo aver scontato la pena di 8 anni e 8 mesi per l’omicidio Raciti. Il legale del Foro di Roma, autore anche della prefazione del libro “Il Caso Speziale”, ha spiegato così la vicenda: “Striscioni ultras pro Speziale in tutte le città d’Italia? Non è la celebrazione di un assassino ma di un ragazzo innocente. Il processo ha avuto un andamento particolare. Vale la pena ricordare che i Ris di Parma, un corpo plurispecializzato dei carabinieri, avevano escluso che il sottolavello col quale Speziale avrebbe ucciso l’ispettore Raciti potesse essere idoneo per l’accaduto. Grazie a nuove prove che sono emerse, mi auguro che venga fatta presto chiarezza, per risarcire moralmente il ragazzo”.
Interessante anche l’intervento dell’avvocato partenopeo Emilio Coppola, “interrogato” sul futuro del calcio italiano post Covid-19: “Lo scorso 1 agosto a Napoli, alla presenza di alcuni portavoce di ben 108 tifoserie, c’è stato un incontro con esponenti importanti del governo per discutere del futuro del calcio italiano. E’ nata l’esigenza di invertire un trend disastroso che non vedeva più il tifoso di calcio come elemento centrale. Da quell’incontro (clicca qui per leggere l’articolo) sono venute fuori alcune proposte interessanti. Innanzitutto, quella di far risedere allo stesso tavolo le parti che siglarono il Protocollo d’Intesa del 2017, che avrebbe dovuto portare alla modifica della tessera del tifoso e degli strumenti di fidelizzazione. L’impegno che si è preso il governo è stato quello di far partecipare anche dei rappresentanti del tifo. Altro punto importante che fu affrontato in quella giornata, è legato all’istituzione delle cosiddette “Standing zone”, cioè aree dello stadio dove si possa tifare liberamente, introducendo tutti gli strumenti di tifo”. L’avvocato napoletano, infatti, ha ricordato che ormai esistono i regolamenti d’uso degli impianti sportivi e che se quest’ultimi venissero applicati in maniera rigida, sarebbe praticamente impossibile tifare liberamente. “Abbiamo chiesto la creazione di queste aree dove poter seguire la partita in piedi, cantando i cori e sventolando bandiere, senza correre il rischio d’essere sanzionati“. Perché nonostante non si sappia ancora quando il Covid-19 sarà finalmente debellato, la certezza è che in futuro gli stadi riapriranno. E gli ultras già scalpitano per tornare a dare colore e calore ai gradoni.