di DARIO CIOFFI

Non si sono mai amati, neppure quando gli interessi (gli applausi e i vantaggi per l’uno, le promozioni per l’altra) sono stati troppo grandi per non strizzarsi l’occhio reciprocamente. Claudio Lotito e la piazza di Salerno si sono, come si dice spesso banalmente, sopportati e supportati a vicenda perché la retorica dell’amore è credibile fino a un certo punto nel pallone che pure al tempo delle crisi muove così tanti soldi che parecchi di noi non sanno neppure contarli.
È durato 10 anni questo rapporto di litigi continui, d’eccessi costanti, senza sconti né dall’una né dall’altra parte, in cui ciascuno ha urlato “Chi sono io!” sfidando “E chi sei tu?”.
Arrogante ed esagerato in ogni uscita, forsennatamente innamorato del suo “ego”, Lotito è riuscito in due imprese parallele e contraddittorie: vincere tutto quel che poteva a Salerno, dalla serie D alla promozione in A più due Coppe, e a farsi contestare più di un qualunque avventuriero, e in un secolo di storia nel club granata ne sono passati un po’, di quelli che partivano incendiari e fieri e poi arrivavano tutti pompieri (a dirla con Rino Gaetano).
Sì, con i suoi modi sempre oltre il limite, Lotito è passato dall’essere il più vincente di tutti i tempi e contemporaneamente il “nemico in casa”, quello che fa solo i suoi interessi (ma quale imprenditore dà priorità a quelli altrui?) tanto che il primo “vattene” se l’è preso già in C2, quando chiese “dove sono i 10mila tifosi?” che gli sarebbero stati promessi all’acquisizione del nome Salernitana e del logo del cavalluccio marino.
Sì, calcisticamente Lotito ha fatto tutto. Ha vinto la D e s’è ripreso il marchio, ha continuato a vincere nella fu C2 e nell’allora C1, Coppe annesse, ha sofferto cinque anni in B salvo poi trionfare anche lì a modo suo, con un progetto intelligente, senza spese folli, sportivamente “miracoloso” a rivedere ancora dopo un mese e mezzo la storia dell’ultimo campionato.
Ha personalizzato tutto, facendo passare in secondo piano la comunicazione più pacata e conciliante del cognato Mezzaroma che pure pesava al 50% ma che non è riuscito a mediare in un antagonismo esasperato tra Lotito e i tifosi.
Salerno, piazza che dà in maniera direttamente proporzionale a quel che pretende, ha accettato la sfida e così si è andati avanti sul filo della tensione fino a una promozione clamorosa, meravigliosa e con il grande rimpianto di essersi consumata nel deserto degli stadi chiusi.
Un’isola di gioia, però, in un oceano di rancore. Alla fine della fiera, nessuno di quest’apoteosi ha goduto abbastanza, né Lotito né Salerno, che forse, chissà, un giorno si rimpiangeranno a vicenda, il patron per il potenziale di una piazza che a tratti gli portava più spettatori della Lazio in serie A e la città per la capacità dello “spocchioso” Claudio di fare di testa sua e comunque mettere sempre sul tavolo la ragione del vincente (da Perrone a Menichini, da Castori alle Noif che esistevano e non gli hanno impedito di “porsi il problema” di non poter avere due squadre nella stessa categoria, cioè nel massimo campionato italiano!).
Ho seguito l’era Lotito a Salerno fin dall’alba nei Dilettanti. E ho compreso fin dall’inizio ch’era un personaggio da prendere o lasciare. Del tipo… Alla prima telefonata, dopo aver sentito chi sei, ti riattacca senza parlare come se ti considerasse il nulla. Però dopo mezzora, se lo becchi a tavola, ti concede mezzora d’intervista da farci almeno sei titoli a tutta pagina che da altri non ottieni neppure se passi per le autorizzazioni dei Ministeri, magari dopo aver ottenuto educatissimi “mi scusi, mi spiace” che anticipano un’infinità di “no” con un formalissimo Lei.
Insomma, meglio uno che ti fa arrivare all’obiettivo senza far nulla per farsi piacere o un altro che garbatamente ti lascia in mezzo al mare?
Dal punto di vista calcistico il discorso è molto simile. Lotito ha (stra)vinto senza battersi mai il pugno sul cuore, come invece hanno fatto in tanti salvo poi rinnegarsi, per necessità o interesse, alla prima occasione.
E non mi ha mai convinto l’uso della parola “dignità”, che la piazza di Salerno a mio modesto parere non ha mai perso, affatto, anche se, per umanissima diversità di vedute, s’è divisa tra pro e contro nelle opinioni sulla gestione Lotito. Mi spiego: certo, nessun tifoso vuol sentirsi dire dal proprietario del club di turno “cosa avete mai vinto?”, eppure non di meno hanno offeso, in passato, collette per iscrivere la squadra, giocatori in fuga e mortificazioni calcistiche che nell’ultimo decennio sono state rarissime e, risultati alla mano, irrilevanti.
Insomma, nel calcio che – per ossimoro reale – è un business governato dai sentimenti, in questi anni, è stato molto difficile trovare il punto d’equilibrio tra il cinismo di Lotito e il cuore di Salerno (dove pure qualche ostinato amante delle proprie tesi si maschera dietro l’amore per la maglia), eppure alla storia restano fatti che vanno oltre le interpretazioni.
Quei fatti, lo dice umilmente e disinteressatamente uno che in questi ambienti e con i suoi “protagonisti” non ha mai avuto approccio diverso da quello professionale (e non senza varie difficoltà nei “rapporti”, perché io ho sempre scelto e saputo da che parte stare!), raccontano che la Salernitana risorta dalle ceneri di un fallimento è tornata in serie A, e se finirà in mani giuste avrà l’occasione per provare ad aprire un ciclo, quella chance spesso vista come utopia perché sorridenti e cortesi proprietari non avevano forza né capacità di regalare un sogno.
Non so cosa ne sarà dopo il trust (è roba da fini giuristi), so soltanto che è la fine di un’era. Lotito e Salerno non si saluteranno tra ipocrite lacrime né finti abbracci.
Eppure, guardandosi in cagnesco come sempre, sarebbe giusto se si dicessero almeno “Buona fortuna”….

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