di DARIO CIOFFI
Da Piacenza a Bologna. Più di 22 anni per percorrere 150 chilometri e rivivere – ipse dixit – “un altro mito di serie A” che allora Salerno e la Salernitana non seppero godersi abbastanza. E non solo per quell’epilogo tragico che ognuno di noi porterà sempre come una cicatrice sul cuore, un segno indelebile che il tempo non potrà né dovrà cancellare mai (ogni volta che esasperiamo i toni, ricordiamoci di cosa parliamo, e di chi erano e oggi sarebbero stati Simone, Enzo, Ciro e Peppe).
Il rimpianto del tempo che fu è una nostalgia che fa a cazzotti col presente. Molti dei calciatori di allora oggi sono allenatori, tipo Simone Inzaghi che ha ereditato uno scudetto sul petto, arrivando all’Inter, e al tramonto degli anni Novanta era “il fratello scarso” di Super Pippo, biglietti e abbonamenti si facevano in coda squagliando sotto il sole, e non potevi manco ingannare l’attesa su WhatsApp, e per sentirsi “grande” bastavano 1500 Lire per una San Miguel al Bar Nazionale (chi non aveva per forza da dimostrare si accontentava dell’Estatè che ne costava 800). Lo stadio era un tempio e la Curva un altare, tanto che se l’ultimo dei manovali che pareva sacerdote ti dava uno stendardo di un gruppo, nel sollevarlo, ti tremavano le mani all’idea di esserne all’altezza. Il verde militare andava assai di moda e per trovare Gazzetta e Corsport in edicola ti conveniva anticiparti perché i giornali “se li mangiavano” come i cornetti caldi all’alba dopo la sbronza in discoteca…
In quello scenario, la Salernitana arrivò alla seconda stagione di serie A della sua storia in un clima molto diverso da oggi, e non solo perché “era un altro mondo”: la gente non ci dormiva la notte, l’attesa divorava l’anima, eppure forse un po’ tutti, dalla società all’ultimo dei tifosi, passando per calciatori e allenatore, ci scoprimmo non abbastanza pronti, probabilmente immaturi. Non per la salvezza mancata sul campo, che resta un’ingiustizia, ma per non aver goduto abbastanza di quell’anno tanto sognato e invece vissuto troppo a lungo come un incubo.
Ecco, l’augurio più grande che sento di fare a popolo e squadra granata è proprio questo: vivere intensamente, da vicino o da lontano, ogni tappa di questo percorso, ché è verissimo che la passione autentica non dipende dai palcoscenici, che una notte a Pizzighettone può valere più di San Siro e il Vallefuoco di Mugnano quanto lo Juventus Stadium, però proprio per chi in oltre un secolo ha conosciuto più polvere che gloria sarà bello, e anche un po’ giusto, rendersi conto del fascino di una ribalta di cui, tra l’altro, di Salerno e della Salernitana si parla spesso, pure se lì si sono visti così di raro.
Calcisticamente, è chiaro, lo scudetto sarebbe il quartultimo posto. Ma quella è la meta, (da) oggi toccherà godersi il viaggio.
Buon campionato, vecchio cuore granata.