di DARIO CIOFFI
Bella! La prima tra i “giganti” è sempre bella, pure se la tua squadra poi si mostra “piccola” e ne prende 4. Rischi del mestiere. Non li calcoli, però neppure ti sorprendono. È lo stato dell’arte…
L’Arechi è tornato pieno, cioè, per metà, ma dopo un anno e mezzo nel deserto (ri)senti il senso dell’aria che respiri. Mancano più di due ore a Salernitana-Roma quando a chilometri dallo stadio rivedi la gente in cammino, e lì davanti il parcheggio già preso d’assalto, la fila all’ingresso che s’allunga, i primi scontenti che si lamentano (e col passare dei minuti saranno in nutrita compagnia). C’era mancato tutto!
Ti sfilano accanto, Green Pass e sciarpetta, ognuna con una storia e se sai di cosa si parla ne comprendi pure il valore: quella di Bergamo e quella di Avellino, quella dell’Olimpico del 1998 e di Sora quando “tutti questi dov’erano?” dicono alcuni. “E però non era la Salernitana”, rispondono altri. Bentornato piazzale di via Allende, vuoto e silenzioso non ti si sopportava più.
Entro. Ed è così presto che sembra tutto come 23 anni fa. Il primo applauso (o i primi fischi) alle squadre già al momento del sopralluogo, rituale che avevo dimenticato. Mancano Mina e Celentano con “semplici e un po’ banali, io direi quasi prevedibili e sempre uguali…”, ma a raccontarla tutta quel CD – o forse all’epoca era una musicassetta – non portò granché bene, quindi avanti con le nuove hit. È rimasto Ligabue, che “urla contro il cielo” e tutti gridano “Salernitana” come dopo che Ciccio Artistico era passato sotto la barriera su calcio piazzato a Cagliari ’97 (ché il portiere non metteva ancora il compagno a fare il “coccodrillo”), ed è rimasta pure quella voglia di cantare “troppo presto”, quando serve a poco, anche se stavolta nessuno dice di “conservarsi” la voce per quando ci sarà da spingere.
La “mia” Curva del resto non c’è, e le voglio troppo bene per non sperare che ci ripensi. E che torni presto al suo posto, a godersi il campionato che “quelli di sempre” meritano più d’ogni altro, perché oggi lo spettacolo è di tutti, ma il palco l’hanno montato loro.
Certo, la Sud è comunque calda. E non fa brutta figura contro quelli che – piacciano o meno – questo “gioco” che fa più bello il calcio l’hanno “inventato” (almeno in questa parte d’Italia dove prima del caffè servono pure il bicchiere d’acqua). I romanisti ci sono, chi ne capisce dice che qualche striscione eccellente manca, però colpiscono l’occhio. Belli, perché il distanziamento lo rispettano solo gli steward, e rumorosi. Si annusano un po’ con la Salerno ch’è sugli spalti. Dalla Nord cantano contro Napoli, forse perché è rivalità da ricordare ogni giorno, o forse perché aspettano un “cenno”, ma se è così quel coro finisce come un “wauuu” detto a una bella che passa in discoteca senza girarsi. Ché i nostri rispondono con un: “Salernitana devi vincere!”. Poi lo sappiamo che è improbabile che accada, ma “lasciami gridare” a dirla non Pappalardo.
Vabbè, vediamo ‘sta partita. Entra Mou. Fosse a cena con i miei amici, Darione gli direbbe “e come t’è vestut’?”. Pantalone blu e polo marrone. Abbinamento azzardato. Ma lui è Special. Lo sa portare…
Entra Castori in tuta sociale e smanicato, un anno fa era “uno qualunque”, oggi lo special di noi altri. Al momento delle formazioni lette in tandem da speaker e pubblico (grande impatto, solo sulla pronuncia di “KeSHrida” in molti non se la sentono d’azzardare) il nome più urlato è quello del mister.
Partiamo. Quarantacinque minuti di muro. “Porta americana” dice qualcuno, però tiriamo pure un paio di volte e, siccome resistiamo fino all’intervallo, iniziamo a crederci. “E poi l’Empoli, a Torino, con la Juve…”, si sente lì intorno. Zitti, ché magari quella vittoria porta pure male (Benevento di Pippo Inzaghi docet). Pensiamo a noi.
Ripartiamo. Campi invertiti e muro abbattuto. Uno, due, tre e quattro mazzate. Pellegrini, Veretout, Abraham e Pellegrini un’altra volta. Mica gente presa per strada.
Sul primo gol lo Special esulta di brutto, modello Inter anno del triplete quella sera che a Barcellona mise Eto’o a fare il terzino. Si vede che pure lui su quel muro aveva avuto paura di sbatterci. Però una volta che ne ha buttato giù un pezzo i suoi continuano a picconarlo. Anche perché che il cemento andasse rinforzato si sapeva. E di tempo ne è rimasto poco.
L’Arechi a 10’ dalla fine già si svuota. Chi resta si concede un Despacido. “Non giocheremo sempre contro la Roma”, ci diciamo per consolarci. Tanto un’ora dopo il triplice fischio, come ogni notturna che si rispetti, c’è la pizza da Lucariello. E lì, che sia a Torino o a Lumezzane, la certezza è sempre che “vinceremo la prossima”…