di DARIO CIOFFI
Gabriele Gravina ha riannodato i fili di una storia lunga dieci anni.
La storia che con onestà intellettuale e – lasciatemi dire – professionalità abbiamo provato a raccontare sempre, senza personalismi né interessi, senza sposare battaglie pro né contro, semplicemente vivendo vicende a tratti pure avvincenti ma con lo sfondo perenne di un’anomalia che un giorno si sarebbe presentata.
Ero presente a Umbertide, in una Final Four “Scudetto” di serie D nel 2012, quando il Salerno Calcio appena promosso in Lega Pro stava per sbattere sullo scoglio multi-proprietà. Lotito, Noif alla mano, avrebbe dovuto cedere allora come ora. “Ma ‘ndo ‘nnate senza di me?“, rispose sicuro d’avere una soluzione provvisoria. Che trovò poche settimane dopo, con la famosa deroga che, di fatto, rinviava il problema a se e quando la Salernitana si fosse trovata ad affrontare lo stesso campionato della Lazio. E per anni è stata una figlia di secondo letto felice. Non me ne sono mai scandalizzato… ché il calcio a nessuna latitudine offre ormai storie da Mulino Bianco. Il resto sono utopie o illusioni.
Però serviva una soluzione, vera e definitiva. L’abbiamo auspicata, invocata, immaginata. Ma non è mai arrivata.
Con un atto di responsabilità, e condivido anche le virgole e le pause del discorso di Gravina, in estate è stato permesso alla Salernitana d’iscriversi alla serie A conquistata sul campo dopo una stagione straordinaria. Facendo vincere il merito sportivo.
Un’opportunità per chiudere un ciclo e aprirne un altro mentre si era sul palcoscenico dei sogni. Io ci ho creduto. Ci crederò fino alla notte di Capodanno. E se sarà tutto inutile come sembra la vivrò come una sconfitta, l’ennesima. Serenamente. Ché la squadra di calcio non ce la siamo scelta, ci è stata donata.
Quello di luglio era un grande appiglio, l’ultimo, per dare onore a 102 anni di storia calcistica. Una storia degnamente rappresentata in questi quattro mesi di campionato da tutto il popolo granata, che ha fatto la sua parte, accettando il ruolo di cenerentola sportiva, con una squadra che prende botte da tutte le parti, ma rispondendo con una partecipazione e un orgoglio da campioni. Se ne sono accorti tutti, anche se in “casa nostra” tendiamo a svilirci, svalutarci e contrapporci. È il destino di chi troppo ama.
Oggi le interpretazioni, giuste o sbagliate che siano, sfumano. Il presidente della Figc ha detto che di tempo non ce n’è più. Che quello concesso, poco o abbastanza non conta, è scaduto.
Ora di battaglia ne resta una soltanto. Salvare la Salernitana nel presente, e se non sarà possibile darle un futuro. Fare tutte e due le cose sarebbe l’ideale. Ma non dipende da noi. Chi può, invece, dovrà fare il possibile, perché in gioco c’è un bene che vale troppo più dei milioni che svolazzano.
Noi, e in quel noi dovremmo esserci tutti, insieme, continueremo a metterci passione e amore. Che poi sono i sentimenti che danno un senso così grande a undici persone che corrono dietro a un pallone. E non conta quanti ne buttino dentro, né su quale campo stiano giocando. Non per noi. Conta che indossino “quella” maglia granata con l’ippocampo sul petto. La Nostra Maglia. Ovunque dovesse finire, per me, per noi, resterà la cosa più bella che c’è.

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