di DARIO CIOFFI
“Non era fredda. E nemmeno stronza. Era solo triste, e stanca di fare a botte con la vita“. A leggerla alle dieci della sera di un’antivigilia di Capodanno senza certezze, quella frase di Charles Bukowski, che beveva di brutto e scriveva da dio, pareva la fotografia in 18 parole d’una Salerno che consegnava la cosa più cara che ha da 102 anni a un destino ignoto, indecifrabile e persino straziante a raccontare il riassunto delle puntate precedenti.
Mortificata sul campo, provata dagli eventi, lacerata da un’esasperazione così radicata da non far quasi più sentire dolore, s’avviava a un epilogo che, fosse toccato a qualsiasi altra piazza, sarebbe sembrato così surreale che nessuno ci avrebbe creduto. Però tant’è, ognuno ha la sua storia, e quella della Salernitana è forse – o senza forse – talmente scandita dalla sofferenza che pure quel che altrove parrebbe assurdo qui può diventare non soltanto possibile, ma persino vero.
Io me lo immagino questo racconto, ascoltato tra qualche decennio da un nipotino qualsiasi che non c’era e magari nelle fredde narrazioni che troverà sui libri – sperando ne esisteranno ancora – non riuscirà a capire sino in fondo. La notte di Capodanno, i cenoni “di fortuna” salvati last minute tra superstiti ancora con una lineetta soltanto ai tamponi che hanno messo mezza città in quarantana, i telefoni bollenti per gli “auguri a te e famiglia“, qualche notizia vera circondata da più fantasie estemporanee che contatti stretti di positivi al Covid, mamme e mogli che neppure ci credono a quel stiamo aspettando (e quasi-quasi ci vien voglia da dar retta a loro), poi quei WhatsApp che partono all’impazzata prima che Amadeus inizi il countdown all’Anno che verrà.
Il 2022 arriva insieme alla salvezza di quella “signora per cui la guerra non è mai finita“: non la cancelleranno dalla serie A che sembra un sogno e invece puntualmente diventa un incubo, non adesso almeno, perché a un sospiro dal “game over” una nuova proprietà è riuscita a (ri)darle un futuro che non vediamo l’ora di scoprire, ma che intanto ci riconsegna intatto un passato ch’è fatto di pezzi indelebili della vita d’ognuno.
La Salernitana è salva e nella testa di ciascuno scorre un film che va da sé.
Una scena dopo l’altra, in ordine sparso, a ricordarci quel che rappresenta questa Bersagliera del popolo ch’è troppo più d’una squadra che semplicemente gioca a pallone.
Io rivedo Tutino sul dischetto di Lignano e Gondo che si butta in porta contro il Venezia, con l’eterno rimpianto d’aver esultato da solo.
Rivedo De Silvestro che dà un giro pazzesco a un mancino contro l’Acireale, e Pisano che scappa sul rinvio di Chimenti per metterla dentro a Perugia.
Rivedo papà che chiede di non esultare nei Distinti di Foggia mentre Logarzo di rigore prende a pallonate Delio ch’è sulla panchina sbagliata.
E rivedo Delio sulla panchina giusta che quasi la distrugge mentre in 30mila all’Arechi urlano “questa volta sì“.
Rivedo Di Vaio che pure tirando da casa sua quell’anno la mette all’incrocio, Gattuso che ringhia su Davids e Vannucchi che ci gonfia il cuore contro il Vicenza.
Rivedo Masinga che ci salva col Castel di Sangro, Giacomino con quel sinistro magico come un derby, come Breda, Minala e Lazzaro.
Rivedo Re Artù che fa gol all’Ancona, il sipario di Aladino e Topolino del ’94 e “l’Ammore overo” di 27 anni dopo.
Rivedo la gente in corteo incazzata nera, e quella stessa gente in piazza felice, i gran signori mischiati ai poveri cristi non distinguibili gli uni dagli altri perché hanno le stesse magliette, le stesse sciarpe, persino le stesse facce.
Rivedo 50 anime infreddolite a Gubbio e 7mila scatenate all’Olimpico.
Rivedo il Vestuti cadente che per me era la pista di riscaldamento della palestra di scherma, e però prim’ancora era stato – cadente lo stesso – il tempio d’un amore disperato.
Rivedo la foto di quei due bambini all’Arechi per la festa del Centenario scelta per una prima pagina da conservare a lungo, e rivedo mio figlio che quella sera aveva 40 giorni, in un passeggino che “volava” spinto da mia moglie in fuga dai fumogeni che annunciavano la mezzanotte del 19 giugno, altro che il countdown di Amadeus…
A Danilo Iervolino, imprenditore di fama e blasone riconosciuti che già tutti chiamano Presidente e che s’è messo sulle spalle una storia lunga più d’un secolo, auguro i migliori successi, e ci mancherebbe pure. Ma gli auguro, soprattutto, di vivere le stesse emozioni (ri)viste, mica per caso, nell’ultima notte di Capodanno.
E’ tutta lì la vera bellezza della Salernitana…