di DARIO CIOFFI 
La partita del destino è un rischio del mestiere. Ogni allenatore sa che prima o poi arriva la sua. Uomo di panchina d’esperienza consumata, Stefano Colantuono s’avvicina a Genoa-Salernitana con la serena consapevolezza dell’ultima chiamata a cui è obbligato a rispondere con una prestazione, e soprattutto un risultato, per scacciare il vento gelido della notte dell’Arechi contro lo Spezia. Il tempo, il peggiore degli avversari, se non è scaduto poco ci manca: Marassi è il crocevia, il capolinea dell’avventura (bis) con il cavalluccio marino sul petto o la stazione d’un rilancio che lo terrebbe al comando d’una sfida sportivamente disperata, per quanto è complessa, e però che la nuova società e tutto il popolo granata hanno voglia di giocarsi sino in fondo.
Disegnato lo scenario, il tecnico che avviò il miracolo Atalanta e che nell’inverno del 2017 venne scelto da Claudio Lotito per provare a rilanciare le ambizioni playoff della Salernitana che aveva silurato Bollini, salvo poi dimettersi dopo un anno e venire richiamato lo scorso ottobre a seguito dell’esonero di Fabrizio Castori, va incontro al suo destino con l’ambizione di poterne ancora essere padrone. Tutto in 90 minuti. Poi la sentenza verrà da sé. E’ un copione antico quanto il calcio, di cui gli allenatori si ritrovano loro malgrado protagonisti da sempre. “Mica puoi cambiare tutta la squadra… E allora cambi la guida”, si dice con retorica scarosanta e sempre di moda. Il problema, nel caso della Salernitana di oggi, è che (quasi) tutta la squadra è stata cambiata davvero, e che il superstite della rivoluzione di gennaio ordinata da patron Iervolino e operata dal ds Sabatini è proprio Colantuono.
Di qui la chiarissima percezione dell’ultima spiaggia, della partita da dentro o fuori che il trainer di Anzio affronta provando a scacciare i fantasmi d’un passato che già una volta, all’ombra del Castello d’Arechi, lo costrinsero a fermarsi a metà dell’opera. Era il mese di dicembre del 2018 quando, dopo un anno sulla panchina granata, Colantuono vide scorrere i titoli di coda. L’inchiostro, in verità, fu suo: sconfitta per 3-2 a Carpi, tutti a letto senza cena con annullamento della programmata festa sociale pre-natalizia, squadra in ritiro a San Gregorio Magno e tecnico che rassegna le dimissioni per motivi personali “lasciandoci anche un bel po’ di soldi” raccontarono spifferi dell’epoca. In dodici mesi, l’ex – tra le altre – di Atalanta e Udinese aveva chiuso a metà classifica la stagione precedente, ereditata in corsa, uscendo fuori dalla zona playoff in quella successiva iniziata tra l’entusiasmo all’alba dei festeggiamenti “verso il Centenario” con il bagno di folla del 19 giugno 2018 sull’arenile di Santa Teresa.
Il ritorno dell’autunno scorso fu a sorpresa, i risultati non l’hanno aiutato, il Covid neppure, e dopo il cambio di proprietà ecco la partita del destino. Quella da cui spesso non si sfugge, eppure qualche volta si esce indenne. Ne giocò più d’una Leonardo Menichini, durante la cavalcata vincente dalla C alla serie B, nel 2015/2016, per evitare un esonero varie volte ipotizzato e chiudere quel campionato a braccia alzate. Fu in bilico pure il “maestro” Ventura quattro anni dopo, salvo poi concludere, senza centrare l’aggancio ai playoff, una stagione tormentata e finita ad estate inoltrata causa il lungo stop per il lockdown.
In era Lotito-Mezzaroma, fatte queste due eccezioni, e ovviamente il recente cammino trionfale di Castori dalla B alla serie A, diversi allenatori son durati come i gatti sull’Aurelia. Galderisi subito via in C2, per il Perrone-bis. Poi il valzer Perrone-Sanderra-Perrone-Gregucci, la nuova stagione iniziata con Somma andato via già nel precampionato, prima della promozione di Menichini, e da lì via con l’altalena dei cambi nel sofferto lustro cadetto. Da Torrente a Menichini ancora, per la salvezza ai playout. Poi Sannino, esonerato per far posto a Bollini, che chiuse non lontano dai playoff, così da esser riconfermato ma poi congedato per far posto proprio a Colantuono.
E s’arriva alla storia prima citata: Colantuono dimesso a dicembre 2018, Gregucci fino a maggio 2019 e Menichini commissario d’emergenza per la salvezza strappata ai rigori nello spareggio di Venezia. Seguirono, come detto, Ventura e Castori, prima condottiero del trionfo e poi silurato dopo un avvio in serie A ritenuto al di sotto delle aspettative, per richiamare Colantuono. Da quei giorni del ribaltone dell’ottobre 2021 la Salernitana ha cambiato tutto: proprietà, dirigenza, calciatori, persino il pullman sociale. E’ rimasto l’allenatore. Aggrappato, adesso, alla sua partita del destino.

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