di DARIO CIOFFI

Di ghiaccio. Nel gioco, negli occhi, persino nell’abbraccio. Sì, pure nella celebrazione d’un trionfo accolto con sobrietà, con stile. Stefania e Amos – ora li chiamiamo tutti per nome, come ogni persona che entra nelle nostre case, ancor più all’ora di pranzo, mentre abbiamo la testa nel piatto e gli occhi verso la TV – ci hanno regalato qualcosa che solo la magia dei Giochi Olimpici rende possibile.
Ci hanno catapultato in uno sport “nuovo” per molti di noi e ce l’hanno fatto scoprire, vivere e tifare come fosse stata la serie dei calci di rigore della finale di Wembley. In pochi giorni ci siamo affezionati ai loro sguardi mai eccessivi, sempre sicuri e però non presuntuosi, alle loro voci, e ci siamo appassionati alla cavalcata di persone normali che si mostrano campioni invincibili. Li abbiamo scoperti, seguiti, apprezzati, persino commentati su WhatsApp col permesso di “nostro signore il pallone” che di solito monopolizza quelle chat.
Vabbè, è banale, però pure vero: Stefania e Amos non hanno vinto solo un’Olimpiade, sono entrati almeno per un po’ nelle case, nei cuori e nella vita di tanti italiani felici d’aver conosciuto due ragazzi che a modo loro hanno scritto una grande pagina di storia dello sport. Di ghiaccio. E d’oro.

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