di DARIO CIOFFI

Affaccio sul mercato di Pastena. Da giorni sono a 800 chilometri da casa ma ne ho sentito lo stesso gli odori, i rumori e le voci. Ho sentito la “puzza” di pittura che farà d’una “mappata” di carta un capolavoro, i tappi delle birre che saltavano con un colpo d’accendino, le imprecazioni e qualche “santo” che svolazzavano se un pennello sbavava fuori dal bordo.

Sento, pure adesso, la “mia” gente che si dà la carica: non è finita ma ce la faremo, perché dobbiamo farcela, e in quella scenografia che l’Italia s’aspetta, ché belle come le nostre manco al cinema si vedono, c’è la metafora del campionato della Salernitana, all’ultima curva, all’ultimo istante, all’ultimo respiro.

Ci giochiamo tutto in 90 minuti come una condanna del destino: avremmo potuto salvarci prima o esser retrocessi molto tempo fa, però forse – o senza forse – se fosse andata così non sarebbe stata storia da Salernitana. E così ci tocca una notte da tutto o niente, che dovrà diventar parte della nostra storia come ogni pagina importante in cui undici granata scalciano un pallone con la gente che gli soffia alle spalle finché ce n’è, a costo di non aver più fiato. Un popolo intero aggrappato a una partita, a una speranza, a un amore ch’è condivisione, passione, aggregazione, roba che vale molto di più del campionato che giocheremo l’anno che verrà.

Salernitana-Udinese è così. È La Partita a cui affidiamo l’umanissima e meritata (sìssignore, ce lo diciamo da soli) chance di restare aggrappati alla serie A, ma pure la tappa simbolica d’un viaggio del cuore che ci segna la vita: noi, la nostra squadra, il nostro popolo, il destino che ci tocca e che non cambieremmo per nulla al mondo perché sentiamo che ci appartiene.

Scoprii la Salernitana contro un’altra squadra bianconera, l’Atletico Leonzio di Lentini. Era una domenica di settembre del 1993. Li prendemmo a pallonate senza riuscire a buttarne una in porta, in uno stadio semi-vuoto per sciopero del tifo, all’alba d’un campionato di C che nasceva come una schifezza e poi sarebbe diventato una meraviglia. Ero piccolo per pensare troppe cose, e però già abbastanza grande per capirne una: la squadra che per diritto nascita ci era stata “donata” ci avrebbe fatto soffrire tanto.

Da allora, per me e per un sacco d’altra gente, la Salernitana è stata di tutto un po’: la fede, l’appiglio, gli sbagli, il lavoro, la passione, la famiglia, l’amicizia, il rimedio dei giorni sbagliati e la maledizione di quelli che parevano giusti (ché poi se lei perde giusti non sono mai), il motivo per cui ogni giorno parliamo con tantissime persone in un’epoca in cui ci si guarda poco in faccia, la compagna d’una vita a cui forse affidiamo troppo, però se fosse meno non sarebbe abbastanza.

Non so se ci salveremo, non so se quel 7% di quattro mesi fa passerà alla storia, né so, pur sognandolo, cosa potrà rappresentare questa partita per quel che il futuro ci riserverà. So per certo, invece, cosa la Salernitana continuerà a essere per ognuno di noi. Una certezza che teniamo stretta nei pugni.

E adesso tocca a te, regalaci ‘sto sogno! Forza vecchio cuore granata!

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