di DARIO CIOFFI
Dov’eravamo rimasti, tra quelle mura che sono un po’ “prigione” e un po’ paradiso? Impossibile non ricordarlo… A quella notte di maggio in cui pregava più gente dentro uno stadio che a San Pietro durante l’Angelus, ché sacro e profano non si mischiano, è chiaro, e però provateci voi a non darla “una voce” Lassù se quel che hai davanti agli occhi, Salernitana-Udinese 0-4, ormai conta nulla, e il tuo destino si decide altrove. Ridondante quanto si voglia, quel Venezia-Cagliari 0-0, e il delirio dell’Arechi esploso al tramonto d’una partita-batosta che neppure il più perfido dei pessimisti avrebbe potuto immaginare, è memoria sempre viva, che ritorna dolcemente in mente quasi ad alimentarci il dubbio pure due mesi e passa dopo: sicuri, sì, ch’è successo davvero?
Di nuovo in serie A, per la prima volta nella sua storia al secondo anno consecutivo su quel palcoscenico dei sogni ch’è diventato realtà, il vecchio cuore granata domenica torna a casa per il “battesimo” in Coppa Italia, a una settimana dal debutto “vero” contro la Roma di Mourinho e adesso pure Dybala che fin d’ora delinea suggestioni fortissime, pensieri stupendi. Un crescendo d’emotività, d’attesa, d’aspettative che fanno sentire il popolo dell’ippocampo dentro un presente che qualche anno fa facevi fatica persino a fantasticarlo.
Sì, perché la Salerno del pallone ormai è un punto fermo agli occhi di tutti, non soltanto perché ha la Curva – senza sciovinismo, c’è qualcosa d’oggettivo che va oltre il gusto – che realizza le scenografie più belle d’Italia, o perché sa d’avere tifosi in ogni dove che non si sono mai arresi alla condanna d’una vita nella periferia del calcio che si temeva fosse da “fine pena mai”, ma anche perché sta costruendo un progetto sportivo d’ampio respiro, che ha nel consolidamento della serie A il necessario punto di partenza. La grandezza delle piccole cose, di cui val la pena rendersi conto per capire che il vento nuovo soffia dalla parte giusta, è già nella pre-season che la Salernitana s’è lasciata alle spalle, nei test match contro club che sono icone internazionali del football come Schalke 04 e Galatasaray. E conta nulla il discorso di “tener testa”, far bella figura o buon risultato, ché le amichevoli contano come i “2 nella briscola” (basti ricordate “Pontedera ai Mondiali e Italia in C2”, prima che la Nazionale di Sacchi poi arrivasse alla finale per il titolo iridato contro il Brasile a Usa ’94). Qui conta la prospettiva intrigante, la scoperta d’una consapevolezza forte, d’una dimensione innovativa in cui va da sé che il cavalluccio marino debba approcciarsi in punta di piedi, con lucida umiltà, perché come i ragazzini che entrano nelle “comitive dei grandi” prima si ascolta e si sta al proprio posto e poi se fai il bravo qualcuno ti dà pure a parlare, però con la fiduciosa speranza di non esser di passaggio, anzi di voler vivere l’alba di questo percorso con l’ambizione di crescere ulteriormente, “passettino-passettino”.
I rifiuti dei big, l’esser messi in coda da obiettivi di mercato maggiormente attratti da società più titolate, è roba che sta nell’ordine naturale delle cose. Da capire e accettare, piaccia o meno.
È un cammino verso un inedito non per forza ignoto, un mondo nuovo che Salerno meritava dopo aver mangiato tanta polvere senza cedere mai alla rassegnazione, accettando a colpi di tosse e abbracciando a sé l’umanissima insofferenza d’una storia conosciuta come le tasche del jeans più caro: i campionati vinti (solo) d’estate di vestutiana memoria, i due fallimenti del nuovo Millennio, le ripartenze sotto falso nome, i patemi, gli affanni, l’illusione delle grandi riscosse e poi le incredibili paure di scomparire di nuovo. Un anno fa, di questi tempi, dov’era il vecchio cuore granata? Iscritto alla serie A, e cioè alle porte d’un sogno, e però pure nel mezzo d’un incubo, senz’alcuna certezza di conoscere il confine tra esistere e sparire mentre un popolo che mangia pane e pallone si sforzava di comprendere i comunicati in burocratese dei Trustee che avrebbero dovuto vendere la società prima che, alla mezzanotte dell’ultimo dell’anno, Cenerentola perdesse la scarpetta e Salerno il suo amore più grande.
È un riassunto delle puntate precedenti che non vuol essere un invito al cieco e superficiale “si sta decisamente meglio di quando si stava peggio”, ma una riscoperta d’una storia orgogliosamente vissuta a testa alta che dovrà esser – l’esatto contrario dell’accontentarsi per forza, tendente al ribasso – la spinta per sentirsi protagonisti d’un nuovo ciclo. Danilo Iervolino, Davide Nicola e tutti i “loro uomini” ne sono i garanti, investiti di fiducia e sostegno incondizionato.
Dov’eravamo rimasti, allora? A quella notte di maggio intitolata “La storia continua”. Appunto. E si riparte di lì…
(FOTO Us Salernitana 1919)