di DARIO CIOFFI
E poi arriva “la prima”. Quella che hai atteso per un tempo – senza partite – parso più infinito che indefinito, così vuoto che gli dai persino “dell’inutile” mentre te lo lasci alle spalle. I debutti sono così, da sempre, l’espressione più esasperata e se volete “onesta” d’un viziaccio a cui non puoi rinunciare: ché gli altri vizi, crescendo o invecchiando, piano-piano svaniscono, li sacrifichi sull’altare dell’opportunità e delle necessità, questo qui no, fosse l’ultimo concesso al mondo, a costo di perderci la salute che a sua volta pure “si dichiara” dicendo che non se ne può fare a meno.
Un po’ pubblico e un po’ privato, orgogliosamente intimo e sicuramente condiviso, l’esordio è una cosa troppo seria per non esser percepita come speciale: poi, è chiaro, il pallone rotola da sé, e così una volta è Salernitana-Leonzio, nel deserto d’un Arechi spettrale perché non vuole più Casillo, e stavolta è contro la Roma, in una notte che ti (ri)mette faccia a faccia con le stelle ridando luce all’oscurità in cui abbiamo brancolato a lungo, e però senza mai smarrirci o stancarci. Anzi, imparando a portare la croce del nostro mai banale né sereno destino.
La prima, allora, contro Mourinho, lo Special One che ci salutò con parole dolcissime una primavera fa: si meravigliava dei 7mila che cantavano all’Olimpico nonostante la sconfitta perché, abituato com’è ai grandi palcoscenici internazionali, mica lo sapeva che facevamo così pure quando prendevamo tre gol contro L’Aquila, a casa nostra, al debutto in C2…
C’abbiamo tanti di quegli anticorpi noi, mister José, che qui il veleno vien giù come un Mojito fresco in una calda sera d’estate.
Certo, neppure il grande Mou s’aspettava di ritrovarci dopo aver visto la classifica quella domenica 10 aprile. Eravamo “morti per ‘sto mondo”, anche se in campo la squadra di Davide Nicola dava la sensazione d’esser ancora decisamente viva. Di fatto, uscendo a testa alta dopo una beffarda sconfitta in rimonta da quello stadio così bello e così sfigato (non ci vincemmo neppure contro la Lodigiani in un playoff di C1, quando ce lo prendemmo in fitto gratuito nel 1994 pure se giocavano in casa loro), quel pomeriggio la Salernitana dimostrò d’aver ancora da dire, da dare, da fare, e la sua gente di più. Un paio di giorni dopo, incontrando i ragazzi della Curva Sud, l’amministratore granata Milan, persona dal CV importante e dallo spessore indiscusso, chiese agli ultras “di crederci ancora, e di venire a Genova” perché “contro la Sampdoria ci giocheremo una nuova chance salvezza”. Loro sorrisero. Ché d’esser presenti e crederci non avevano bisogno di sentirselo dire.
È bello pensare che la grande rinascita dell’ippocampo verso il “miracolo” della permanenza in serie A sia cominciata da lì, da quella sconfitta sui titoli di coda contro la Roma, dalla voglia di non sentirsi finiti neppure quando il resto del mondo dalla corsa salvezza ci aveva cassato (nulla di personale, eh!), da quel 7% dipinto in bianco su una “pezza” affissa al vetro dei Distinti Ospiti dell’Olimpico, in mezzo a un granata che ancora ardeva, sotto cui si gettò Radovanovic dopo una sassata bestiale che illuse dell’impresa come Song 24 anni prima.
Ora un’altra storia. Sa di magia come tutte le “prime” di quel “grande romanzo popolare a puntate”, a dirla con le parole con cui Alfonso Gatto definì il campionato di calcio, e che il debutto si giochi davanti a 30mila o 3mila persone cambia poco nell’animo di chi l’avrebbe aspettato, visto e vissuto allo stesso modo in entrambi i casi.
Il caso stavolta vuole Salernitana-Roma, ch’è sfida dal fascino tutto suo, in un Arechi col vestito da sera. Il vecchio cuore granata contro la tifoseria che i pionieri degli ultras di Salerno “studiarono” quasi mezzo secolo fa per fare del Vestuti un modello di stile e passione nella “provincia” del pallone in C. Contro una delle probabili protagoniste della serie A che nasce nel traffico di Ferragosto per lasciar spazio a novembre a un Mondiale che noi italiani vedremo solo in Tv se proprio quel giorno facendo zapping non troveremo di meglio. Contro l’allenatore più mediatico al mondo, che ad aprile scorso ci fece i complimenti per l’attaccamento alla maglia, pensando di non ritrovarci più. Eppure, quel giorno, il popolo salernitano gliel’aveva detto… “Ricordati di me”.
Ripartiamo da lì.
Buon campionato a tutti!