di DARIO CIOFFI

C’è un filo del destino che si riannoda in quest’Udinese-Salernitana che, oltre alla partita delle sei e mezzo del pomeriggio di oggi, è un viaggio nel tempo che segna la storia recente granata. E che comincia con quella “gara fantasma” d’un inverno fa, nei giorni più surreali che la Salerno del pallone ricordi: la squadra massacrata dal Covid, la società sull’orlo del precipizio, ché dieci giorni dopo sarebbe stata cancellata dal calcio se non avesse trovato un acquirente alternativo alla gestione del Trust escogitato da Lotito, la città confusa, disorientata, smarrita nell’incertezza d’un domani così ignoto da fare una paura del diavolo. Quel 21 dicembre la Salernitana a Udine non si presentò: la rappresentarono una decina di stoici tifosi, uno sciarpone con su scritto “Salerno” affisso alla balaustra d’uno stadio deserto, vessillo che idealmente simboleggiava quanto vivo ancora fosse un popolo intero, e una Pec con un po’ di “giustificativi” che avrebbero consegnato al futuro, e cioè al presente di oggi chiamato Iervolino, l’appiglio per (ri)giocarla quella che sarebbe diventata la partita della svolta.

Sì, perché quattro mesi dopo quel destino che aveva fatto il giro largo finì per compiersi, come fosse stato scritto da uno sceneggiatore ubriaco di talento: Udinese-Salernitana, il recupero, match vinto prima dagli avvocati a colpi di ricorsi e poi dalla squadra che Nicola aveva ereditato in corsa dopo il passaggio di proprietà. Era ultima, la Bersagliera, con un distacco siderale (-9) dalla zona salvezza, eppure ancora con il sacro fuoco della speranza che ardeva, alimentato dal colpaccio nella trasferta di Genova contro la Samp tre giorni prima.

Accadde tutto in un finale da impazzire, con i bianconeri in attacco e però i granata a giocarsi l’ultimo contropiede. Il cronometro che mangiava i secondi del terzo e ultimo minuto di recupero concesso. Ederson in coast to coast, Verdi che l’accompagnava chiamandogli il passaggio e 500 innamorati che soffiavano su quel pallone. Occhi negli occhi con il portiere friulano, Simone fece gol. Magia diventata poi un video che ogni tifoso dell’ippocampo avrà (ri)visto decine e decine di volte, in ognuna delle quali s’è fatto pervadere dallo spavento che Verdi potesse sbattere su Silvestri o spararla fuori. Incubi frantumati da un sogno diventato realtà. Il blitz della Salernitana, lo slancio verso l’incredibile trasformato in possibile.

La salvezza forse – o senza forse – più clamorosa della storia della serie A, di fatto, l’ippocampo l’ha costruita grazie al colpaccio in Friuli, e festeggiata sempre su quel filo del destino, inciampandoci maldestramente, un altro mese dopo l’impresa della Dacia Arena, prendendo quattro gol a casa propria nell’ultima giornata, in un Arechi da 30mila, dall’Udinese che si credeva sparring senz’arte né parte, e che invece rischiò di mandare i granata all’inferno, salvati solo dal non meno incredibile pareggio del Cagliari a Venezia.

Ce n’è abbastanza per immaginare la sfida di oggi come qualcosa più del semplice e banale primo esame in trasferta d’una stagione che i ragazzi di Nicola hanno cominciato a testa altissima ma senza punti contro la Roma di Mourinho, continuando nel frattempo a rafforzare autostima e soprattutto organico grazie a un sontuoso sprint di mercato che in pochi giorni ha (ri)consegnato al campionato una squadra non soltanto molto più competitiva e di qualità, ma anche con un’identità che rende orgogliosa la sua gente.

Sì, perché aspettando il campo, giudice unico d’ogni verdetto pallonaro, è fatto raro, o forse unico in più d’un secolo di storia, vedere arrivare all’ombra del Castello d’Arechi, in rapida sequenza, gente dal blasone di Candreva, uno dei più bravi centrocampisti italiani degli ultimi anni quale è Maggiore, e un attaccante fresco di semifinale di Champions League come il neo campione africano Dia. È roba che fino a qualche tempo fa neppure nei videogames sarebbe stata credibile, e non è soltanto l’azzardo d’un momento, è la strategia che la Salernitana ha messo in campo investendo tanto (last but not least la prova di forza per il rinnovo che ha blindato un punto fermo come Mazzocchi), programmando, immaginando qualcosa di grande che duri nel tempo.

Va da sé che non bastino entusiasmo e sensazioni (molto) positive per sentirsi con le spalle coperte, ché la storia del calcio è piena – con infiniti precedenti – di “battesimi estivi sconsacrati” in un senso o nell’altro. Dunque, fino a contraria, la lotta per la sopravvivenza è e resta affare granata, e per salvarsi ci sarà da soffrire e battagliare ogni partita come fatto alla prima contro la Roma, puntando magari sul fatto che oggi sarà meno “stellare” la cifra tecnica dell’Udinese di Sottil, allenatore esordiente in A che la sua indiscussa bravura iniziò a mostrarla in serie C a pochi chilometri da qui, guidando con personalità e idee una bella Paganese.

Ecco, per sognare che sia l’alba d’un grande ciclo, che magari porti un giorno la Salernitana a emulare storie di (altri) club italiani che hanno conquistato l’etichetta di favole, ci sarà tempo. Intanto c’è da far punti, così da iniziare a costruirlo. E Udine può, e dev’esser, il campo giusto per cominciare. Con “quel” filo del destino che si riannoda…

 

(foto Pecoraro/US Salernitana 1919)

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