di DARIO CIOFFI
L’anima grande di chi non vuol essere più una “piccola”. E dà la chiara – evidente – sensazione d’avere nelle proprie corde, lungo il percorso che fieramente ha intrapreso, la potenzialità di chi studia per il salto di qualità. Orgogliosa e a testa alta pure se sconfitta contro la Roma, pratica e compatta per strappare un pari a Udine, perfetta ed “esagerata” nel poker rifilato alla Samp, infine dura a morire e capace di portar a casa punto d’oro da Bologna dopo una prova autoritaria solo per metà gara. La Salernitana d’inizio stagione ha offerto quattro facce più o meno diverse, e però, a sintetizzarla, non ce n’è stata una “brutta”. Anzi. Ognuna è piaciuta a suo modo.
Certo, gli incontentabili appunteranno che, eccezion fatta per l’attuale capolista di Mourinho, le ultime tre avversarie, contro le quali i granata hanno messo in fila altrettanti risultati positivi (mica roba da poco, all’alba d’un campionato di serie A per chi non ne è affatto “cliente abituale”), non erano esattamente il massimo del coefficiente di difficoltà. Corretto. La prima lettura, sul perché l’avvio di stagione della Bersagliera non sia soltanto buono ma eccellente, è proprio in questa umanissima percezione.
La squadra di Nicola, l’ultima arrivata e ultima classificata per lungo tempo un anno fa, oggi ha avuto la forza, per suo merito, e dopo il sontuoso calciomercato del presidente Iervolino e del ds De Sanctis, di far cambiare il punto di vista di chi l’osserva. Di far rivalutare il proprio peso specifico. Di far avvertire come “abbordabili” avversari con decenni di campionati d’élite sulle spalle. Pare, e forse è, discorso meramente psicologico o persino più banalmente “di pancia”, e però dà l’idea di cosa la Salernitana sia stata in grado di costruire in meno d’un mese, in campo e fuori.
Tutto nel solco d’una promessa: provare a fare un altro step, ripartendo da quella salvezza batticuore e miracolosa d’una primavera fa. La società l’ha mantenuta, spendendosi (e spendendo un bel po’) in una campagna rafforzamento che la Salernitana non aveva mai conosciuto nella sua storia. Su tutti i fronti. Per prestigio dei calciatori scelti, per il blasone degli interlocutori d’altri club con cui ha trattato, per desiderio d’andare sempre oltre, non accontentandosi d’esser “quasi al completo” ma completando davvero un roster che oggi Nicola può plasmare con il suo credo, le sue idee, la sua visione.
Un’opera di rivoluzione persino più profonda rispetto all’inverno scorso, perché in continuità con quel che s’era (ri)fatto per salvare la pelle quando pareva impossibile, cedendo una stella, Ederson, e prendendone potenzialmente almeno quattro, forse di più, duellando sul mercato con colossi che mesi fa ti avrebbero schiacciato e che ora invece sanno d’avere nel club granata un competitor autentico e autorevole, perché nel mondo del pallone se ne parla come d’una realtà emergente, ambiziosa, credibile. Questa fotografia della realtà dovrà ora esser il punto di (ri)partenza per dare ulteriore continuità a un avvio di stagione in cui il cavalluccio marino sente di poter e dover spingere ancora, già lunedì sera all’Arechi contro l’Empoli, altro match che apparentemente nasce come occasione preziosa per allungare la striscia, magari avvicinarsi già alla doppia cifra alla quinta giornata (la scorsa stagione la Salernitana “girò” a 11 punti).
Va da sé che l’apparenza resti tale finché non la si converte in sostanza. Per la materia c’è. L’entusiasmo pure. Salerno ha scoperto – non che ce ne fosse bisogno, ma quando si vedono fare in maglia granata cose che prima guardavi in tv è altra cosa – l’eccelsa qualità di Candreva, il fiuto del gol di Dia, l’affidabilità di Maggiore, e ora aspetta, sfregandosi le mani, d’applaudire Daniliuc e di diventar bersaglio del “pistolero” Piatek, sognando la “coppia di fuoco” sotto la Curva Sud con Bonazzoli. E poi c’è il popolo dell’ippocampo. Che questo momento magico, o almeno di sicuro raro, non lo vive semplicemente da spettatore, ma da co-protagonista. Come sempre. Però stavolta di più. Perché se ne rende conto, d’esser dentro una storia importante. Basta (ri)vedere per credere i 3mila che si son “presi” Bologna, ascoltare i loro cori, lasciarsi travolgere da quell’onda di passione: a casa d’altri come a casa propria. E la prossima contro l’Empoli si gioca davvero all’Arechi. Dove la Salernitana piccola non lo è mai stata. Neppure quando era indiscutibilmente tale. Figurarsi che vuol esserlo adesso…
(foto US Salernitana 1919)