di DARIO CIOFFI
Al diavolo tutte quelle etichette che sono passate di moda. Un tempo, nella ricerca delle suggestioni forzate, per alcuni la Salernitana era “la signora della serie C”, imitazione sbiadita, più volgarmente definibile “pezzotto”, della “vecchia signora” dell’Italia del calcio, quella Juventus che più di qualsiasi altro club accentua la dicotomia tra amore (è la squadra con più tifosi al mondo) e “odio” (nell’accezione sportiva, meglio precisarlo per non scadere nel moralismo esasperato). Gli ultimi tre decenni hanno detto molto altro, e il presente se possibile ancor di più a giudicare da come i granata si presentino allo Stadium dei bianconeri, che vivono un periodo non tra i più felici della propria blasonata storia.
E così, a guardar la realtà con occhi attenti, che fissano il momento e non le convenzioni del passato, va da sé che Juventus-Salernitana, benché da scontata premessa nasca come sfida dal pronostico tutto schiacciato sui più forti, non sia soltanto la mera passerella d’una provinciale ch’entra in punta di piedi a casa della grande, onorata di strapparle un selfie e mettendo in conto che poi se ne tornerà con “tre palloni”. Magari accadrà davvero, non sarebbe “scandalo”, e però il presente racconta d’una Bersagliera – questa sì ch’è etichetta autentica, con tutto il rispetto per chi la ribattezzò “vecchia signora della C” – decisa a proporsi a testa alta e petto in fuori al cospetto di chiunque, con rispetto ma senza timori, di sicuro per nulla rassegnata a far da comparsa in un copione già scritto.
La grande conquista del cavalluccio marino all’alba di questa stagione, forse persino più preziosa dell’ottimo bottino di sei punti conquistati dai ragazzi di Nicola in cinque gare (le ultime quattro senza la macchia d’una sconfitta), è proprio la consapevolezza di non dover guardare i giganti con il capo chino, che non vuol dire illudersi e prendersi troppo sul serio, o banalmente “volersi paragonare”, bensì provare l’umanissimo e intrigante desiderio d’andare a “dargli fastidio”, cercando di far saltare il banco e i pronostici, di far impazzire i facili profeti degli esiti scontati. Un percorso alla scoperta d’una inedita e finalmente reale ambizione, ch’è poi il pane quotidiano per chi vorrebbe – obiettivo dichiarato per quest’anno da patron Iervolino e dal ds De Sanctis – anzitutto salvarsi, certamente, ma farlo senza patemi, possibilmente divertendosi e divertendo. È per questo che Juventus-Salernitana stavolta non nasce come quella dello scorso anno, al di là di come poi andrà a finire la partita di domenica sera.
È un tempo nuovo, che si sta scrivendo con inchiostro indelebile. Un tempo fatto di colpi sul mercato e risultati sul campo, ovviamente, ma pure d’immagini dal valore simbolico fortissimo: le migliaia di maglie granata addosso a bambini, ragazze, persone d’ogni età, quel senso d’identità e attaccamento ch’è intrinseco in questo popolo, sicuro, e però che mai come stavolta trova un’espressione evidente, concreta, coinvolgente. Un processo di (ri)conquista e “recupero” di generazioni che in passato hanno tifato Salernitana forse troppo da lontano e per sentito dire, cercando altrove, nella “seconda squadra” che qui spesso viene sussurrata solo sottovoce da chi ce l’ha, sfogo e appiglio per affacciarsi al grande calcio scegliendo una “big” per la quale simpatizzare. Ora non c’è più quest’esigenza. Ché adesso Salerno nel pallone dei grandi è non soltanto rappresentata, ma anche rispettata. E chi dell’ippocampo ha da sempre a cuore le sorti sente ch’è arrivato il momento d’insistere, spingere, andare oltre senza illudersi né precludersi la strada d’un sogno.
Qualche anno fa, d’estate, l’Arechi, che seppur malandato il suo fascino principesco l’ha sempre avuto, era diventato tappa per i tour pre-campionato della Juventus, sede d’amichevoli agostane di respiro internazionale (sfilarono in rassegna Villareal, Siviglia e Malaga) dal sold-out più o meno assicurato. Certo, erano eventi che attiravano gente da ogni parte del Sud, vacanzieri compresi, e però il solo fatto d’ospitare quei test match dei bianconeri nello stadio della Bersagliera dava un senso di periferia del calcio ch’era il segno di quei tempi. L’ultima volta che accadde, durante uno Juventus-Malaga del 2012, nel settore Distinti comparve uno striscione: “Che l’Italia lo sappia… Salernitana”. Era un avviso ai naviganti, come a voler dire: giocateci pure, sul nostro prato, però sappiate che all’Arechi c’è soltanto una padrona di casa, anche se all’epoca stava per cominciare il campionato di C2.
Dieci anni dopo quel messaggio è ancora attualissimo, e riecheggia molto di più. Perché Salerno oggi non soltanto vuole, ma può pure, gridarlo con forza, fierezza e un pizzico d’orgogliosa spavalderia. Con tutto il rispetto, “vecchia signora”…