di DARIO CIOFFI
“Dov’è Sassuolo?”. Quando 14 anni fa la Salernitana fu chiamata per la prima volta ad affrontarlo, in quella poco decifrabile competizione chiamata Supercoppa di serie C, un po’ affascinante e un altro po’ effimera manifestazione che metteva di fronte le squadre vincitrici dei rispettivi gironi (che all’epoca erano due soltanto), il dubbio più grande delle poche centinaia d’instancabili supporters granata al seguito fu individuare il campo di quell’inedito avversario, primatista nell’altra metà del campionato che aveva appena promosso in B “re Artù” e i cavalieri della sua corte. Bastò poco per scoprire che quella squadra, che avrebbe trovato casa prima a Modena e poi a Reggio Emilia, si sarebbe rivelata di lì a poco una delle realtà più belle dell’Italia del calcio: il miracolo di Squinzi sotto il marchio d’una Mapei stancatasi del ciclismo, un inesauribile serbatoio di talenti e uno stadio “in fitto” poi diventato di proprietà dove costruire una favola ormai consolidata sul palcoscenico più sontuoso del pallone.
“Dov’è Sassuolo” oggi Salerno lo sa benissimo, tanto che, cavalcando l’onda dell’entusiasmo del nuovo progetto di Danilo Iervolino, emulare il modello di quel club sarebbe un’ambizione. Intanto, però, i neroverdi sono avversari d’una domenica di ripartenza, dopo aver spezzato il fiato con la sosta, per ritrovare la brillantezza che la Salernitana aveva mostrato prima d’inciampare all’Arechi contro il Lecce al tramonto d’una primissima parte di stagione eccellente per continuità di prestazioni e risultati. Tocca riprendere quel passo lasciato allo Stadium della Juventus, per ricominciare a marciare come la squadra di Davide Nicola ha dimostrato di poter e saper fare anche al cospetto di rivali di grande spessore. E gli emiliani senz’altro lo sono.
Nasce così la trasferta che chiude una settimana storica per la Salerno del calcio. Sì, perché quanto accaduto qualche giorno fa in Ungheria è evento già inciso sulla pietra indelebile del tempo. Il debutto in Nazionale di Pasquale Mazzocchi ha segnato la prima volta d’un calciatore granata con la maglia l’azzurra dei grandi, un momento speciale per aggiornare gli almanacchi ma pure per la semiotica che nel pallone fa sempre la sua parte. Sì, un segno di riconoscimento di cosa, in pochi mesi, la Bersagliera sia diventata nel panorama d’uno sport in cui non è più soltanto “povera ma bella”, amata e però un po’ “sfigata”, bensì protagonista, capace di ritagliarsi un ruolo così importante da fornire all’Italia, chiamata a (ri)costruire un ciclo sulle macerie d’un altro Mondiale che vedremo a breve soltanto in Tv, elementi di prospettiva, che possano rappresentare presente e futuro del nostro calcio.
E però, siccome l’emozione autentica la trasmette la gente che la vive, la cosa più bella di quest’esordio è stato l’orgoglio con cui il tifo salernitano ha vissuto quell’attimo, nel vedere il suo Pako diventare “ambassador” d’un popolo intero.
Qualcosa di simile s’era vissuta nella primavera del 1994. Per chi amava la Bersagliera anche nella polvere della serie C, memoria sempre viva. Gli avversari, a quei tempi, erano il Potenza di Pasquino, presentatosi all’Arechi con un’improbabile maglia arancione, un’altra Juve, lo Stabia di Castellammare (ed erano battaglie non meno accese di quelle recenti a Torino), e il Perugia di Castagner e bomber Cornacchini. Nei giorni in cui la Salernitana di Delio Rossi si giocava la B che avrebbe conquistato in pieno Mondiale americano, Salerno gioì per Salvatore Fresi, il difensore più talentuoso di quella stagione magica, convocato in Under 21. “Fresi in Nazionale”, cantava la Curva Sud, e vederlo su Rai2 alle sei e mezzo del pomeriggio in campo con gli azzurrini, primo piano e tre secondi di grafica a proiettare in mondovisione la didascalia “club: Salernitana”, inorgoglì ogni tifoso granata.
Pasquale Mazzocchi ha fatto ancor di più. Scrivendo la storia. Lui, eroe non banale né “per caso” agli occhi della gente all’ombra del Castello d’Arechi, perché fu tra i primissimi, un inverno fa, ad accettare la sfida disperata del 7%. Coraggioso, come tutti quelli che “si sono fatti da soli” respirando veleno sui campi del pallone di provincia senza mai intossicarsi. Classe operaia che va in paradiso e che suona la riscossa. “Ora torno a Salerno, ché la prossima per noi è una partita importantissima”, parole del Pako nazionale dopo il debutto con il CT Mancini. La pensano come lui e l’accompagneranno a Reggio Emilia, per la stessa missione, più di 4mila innamorati.
È chiarissimo a tutti, adesso, “dov’è Sassuolo”…