di DARIO CIOFFI

Senza memoria, schiavo delle sue ritualità e degli inevitabili sbalzi d’umore, il calcio, con le sue regole antiche e inderogabili (altro che “non scritte”, è come se fossero incise sulla pietra), mette la Salernitana dinanzi al primo vero “esame decisivo” dopo il miracolo salvezza d’una primavera fa. Sì, perché definire quella contro il Verona come la madre d’ogni partita non è forzatura né esasperazione, è fotografia fedele d’un momento che reclama risposte e riscossa da una squadra granata d’improvviso trasformata e involuta.

Molto altro si potrebbe aggiungere sull’impatto, forse persino eccessivo che la doppia sconfitta arrivata a cavallo della sosta ha avuto intorno e dentro a quella ch’era stata un po’ da tutti ribattezzata, fino al pareggio con la Juventus, una delle più belle rivelazioni del campionato. E però il calcio, sempre lui, con i suoi consumati copioni che non ammettono eccezione a seconda degli interpreti, ha abituato a non stupirsi se nello spazio di 180 minuti di pallone si passa dal sogno d’assaltare la classifica dei grandi all’incubo di rivivere i fantasmi della stagione scorsa.

Di nuovo, ed è fatto oggettivo e sostanziale, c’è che nella costruzione della sua rosa la Salernitana non ha pensato da “piccola”, per valore degli investimenti, per atteggiamento sul mercato e anche per dichiarata aspirazione di recitare un ruolo ben diverso rispetto al ballo da debuttante. E allora va compreso che nell’aspettativa della società, e per traslato del pubblico, cinque gol dal Sassuolo mostrandosi senz’arte né parte non siano ammessi, al pari della consapevolezza che certe batoste sono possibili e a volte persino “utili” per risalire dopo aver toccato il fondo. È un gioco di ricerca dell’equilibrio in un mondo che d’equilibrio non vive, perché se già dopo la sconfitta di Reggio Emilia la domanda che ci si è posti è “mister Nicola è in bilico?” va da sé che occorra analizzare causa ed effetti di questa situazione, senza schiacciarsi sulla tesi di parte del “chi ha ragione”.

Insomma, senza prenderla né poco né troppo sul serio, è evidente che Salernitana-Verona sia gara a cui chiedere molto su presente e futuro granata. Per capire se davvero l’incantesimo del condottiero e dei suoi battaglieri ragazzi, capaci di metter sotto chiunque fino all’11 settembre scorso, perdendo una sola volta e raccogliendo persino meno di quanto meritassero, si sia improvvisamente spezzato e perché. E se è vero che affidare a un solo match la risposta a una domanda così importante risulterebbe a propria volta riduttivo, è altrettanto chiaro che una squadra reduce da due ko che fanno malissimo sia chiamata a reagire con forza, a lanciare a se stessa e ai naviganti un chiaro messaggio di vitalità invocato in sequenza dal ds De Sanctis, dal patron Iervolino e dalla tifoseria.

Sì, perché la partita di domenica all’Arechi non va vista come l’ultima spiaggia di Nicola – che non accettava questa banale metafora quand’era quasi retrocesso, figurarsi se la merita ora! – ma come l’opportunità di far capire e vedere, di dimostrare, che la squadra granata non è quella arrendevole e disunita che s’è sgretolata con Lecce e Sassuolo. Una risposta che non dovrà esser soltanto e per forza figlia del risultato, che ovviamente conta più d’ogni altra cosa, bensì andrà valutata anzitutto dall’approccio, dalla prestazione, dallo spirito in campo d’un gruppo che si trova per la prima volta faccia a faccia con le difficoltà. E deve prenderle di petto. Affrontarle. Superarle.

Il resto, dal punto di vista emotivo e motivazionale, andrebbe arricchito ricordandosi quanto sentita sia sul fronte popolare la gara Salernitana-Verona. Magari andando a ritroso di dieci mesi, a quella gelida notte di gennaio in cui un giro mancino magico di Kastanos mandò a dormire senza punti gli scaligeri, regalando a una Bersagliera “rattoppata” e precaria un colpaccio al Bentegodi che sarebbe poi valso tantissimo affinché si compiesse il miracolo della salvezza sui titoli di coda. Danilo Iervolino, allora presidente ancora “in pectore” da pochi giorni, conquistò la gente di Salerno con un post social: esultava insieme alla sua famiglia, dinanzi alla tv, tutti in maglietta d’ordinanza con l’ippocampo cucito sul petto. Quella rosa, il patron, l’avrebbe rivoluzionata del tutto, di lì a poco, e però dopo il 90’ ne elogiò non soltanto la vittoria, bensì il carattere, il cuore, il desiderio d’andare oltre ogni ostacolo, anche se non riusciva a saltarlo, a costo di buttarlo giù. Proprio come servirebbe adesso. Da Verona al Verona.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *