L’11 ottobre 2022 nel Salone dei Marmi di Palazzo di Città, a Salerno, si è tenuta la sesta edizione del Premio giornalistico Zaccaria Tartarone. Qui un ricordo dell’indimenticato Zak.

di DARIO CIOFFI

I cuori grandi li riconosci appena si aprono con i piccoli. Avevo 19 anni quando ho conosciuto Zak. E nella Tribuna Stampa dell’Arechi ero il più piccolo. Occhi bassi e voce tramante, dicevo “buonasera” alle persone che con imbarazzo mi ritrovavo a chiamare (nella mia mente) colleghi, mentre sfilavo verso quello che sarebbe diventato il mio posto: terzultima scrivania, lato Curva Sud. In pochi sentivano, ancor meno rispondevano. “Va così”, pensavo mentre mi trascinavo con uno zaino che sembrava carico di mattoni per quanto pesava un PC all’epoca.
Zak si palesò qualche minuto prima del fischio d’inizio di Salernitana-Palermo, gara di Coppa Italia all’alba della stagione 2004/2005. La mia prima volta da giornalista in quello stadio con il nome da principe ch’era stato teatro delle mie passioni da tifoso e finalmente s’apriva ai miei sogni di diventare cronista. La ricordo come fosse ieri, quella sera. Pantalone beige e cambia bianca, un pacchetto blu di Camel Lights che spuntava dal taschino, sigaretta a metà fumante tra le mani, Zak s’avvicinò con il sorriso di chi con i ragazzi ci ha speso una vita. Da insegnante. “Ciao guaglio’! Tu si’ Cioffi, eh! Ti ho letto. Scrivi bene. Soprattutto, cosa rara e mica scontata, scrivi in Italiano…”, esordì mettendo subito in chiaro ch’era il Professor Tartarone, docente di Lettere. Senza spocchia. Senza un briciolo di presunzione. Con il sorriso e l’ironia che esprimono gli uomini dall’anima bella.
Alfonso, da poco mio collega e già mio amico, il figlio di Zak, mi mollò la prima “sgametta” della serata. Un affettuoso ceffone, come un battesimo. E Giuliano l’accompagnò con la risata sguaiata di chi stava al gioco: “E brav’ a Cioffi! C’hoffiducia…”. Sedevo in mezzo a loro due, nel mio debutto importante per il quotidiano “il Salernitano” di Gigi Casciello, per il quale collaboravo da meno d’un anno, grazie all’accredito concessomi da Alfredo Boccia dopo un pezzo sui tifosi la settimana prima: premiato perché, alle nove della sera, nei miei soli “salti” in Redazione “per salutare”, nella speranza che mi chiedessero di scrivere qualcosa, aveva avuto il merito di riempire un bel “buco in pagina”.
Salernitana-Palermo cominciò senza che io me ne accorgessi, disorientato com’ero a scrivere, inutilmente, sul foglio bianco del Word, il titolo dell’articolo a cui avrei potuto dedicarmi solo due ore dopo: spogliatoi della squadra ospite. Le 30 righe che di solito non legge nessuno. Zak mi diede la sveglia con la sua esuberanza, reclamando un rigore inesistente che gli serviva a sentire se avessi una voce. Non funzionò. Rimasi zitto. Ci riprovò al primo gol di Mendil, meteora granata e però eroe di quella serata con una doppietta. E mi strappò qualche parola dall’indefinito significato.
Continuò a seguire la gara come gliel’avrei poi visto fare altre centinaia di volte, senza un posto a sedere, passeggiando lungo la Tribuna Stampa, tarantolato. Avanti e indietro. Di continuo. Un moto perpetuo. Qualche sosta in fondo, sulle sedie rosse della seconda fila, solo per le sigarette d’ordinanza che di solito, salvo partite-champagne, superavano di gran lunga il numero dei tiri in porta. Dopo il 90’ andammo in Sala Stampa per le interviste post partita, rituale per noi tanto necessario quanto spesso dalla noia e della banalità invincibili. Le mie 30 righe erano pronte, un concentrato di retorica già consumata persino per un esordiente come me, però prima d’andar via ci fiondammo verso il pullman del Palermo ch’era parcheggiato nel piazzale antistante la Tribuna.
Con l’incoscienza dei 19 anni, quasi salii a bordo. Sulle scalette incrociai Morrone, calciatore ch’era stato colpito da un oggetto lanciato dagli spalti. Appena vide me e i miei colleghi (ri)prese una borsa con il ghiaccio che aveva lasciato sul sedile del conducente, Giuliano tirò fuori una macchinetta fotografica digitale, Morrone si mise in posa e si lasciò immortalare con un volto provato. Un po’ scenico. “Questa è la foto tua, per il tuo pezzo!”, mi dissero i ragazzi. “E mo’ non saranno più 30 righe”, mi anticipò Zak che guardava tutto qualche passo più indietro. Tornati in Redazione – ché si faceva così al tempo, anche quando le partite finivano a mezzanotte – le 30 righe diventarono 70: “Il Palermo perde ma chiederà la vittoria a tavolino per l’oggetto che ha colpito Morrone”. Bell’inizio! Bel battesimo!
Il giorno dopo, al giornale, dove l’illusione dei complimenti lascia sempre spazio al “ritorno” della notizia portata quel giorno in edicola e quindi già superata, Zak ci tenne a dire ai “miei capi” e colleghi anziani ch’ero stato bravo, e che avrei dovuto presto cominciare a collaborare anche con “Sport e Sport”, il suo “settimanale di critica e cultura sportiva” che usciva in allegato a “il Salernitano”, per curargli gli “Sport minori”. Insieme decidemmo di chiamarli “Sport Olimpici”. La conoscenza divenne amicizia. E l’amicizia frequentazione. Zak non era solo il papà – “il padre”, mi avrebbe corretto lui – del mio amico Alfonso. Era un amico a sua volta. Una persona con cui non ne avevi mai abbastanza quando si cominciava a parlare.
Gli raccontai di quando, da bambino, al tramonto della 4^ Elementare, andai a TV Oggi per comprare il suo speciale “Bentornata Salernitana” in VHS, un meraviglioso reportage della cavalcata granata verso la serie B nel campionato 1993/’94, la sua squadra del cuore. E anche la mia. Gli raccontai delle sue trasmissioni sempre seguite in televisione, e degli amici che mi avevano raccontato che con lui, il lunedì, in classe la lezione cominciava parlando della partita della Salernitana, così che per generazioni di suoi studenti era stato impossibile non voler bene al Professor Tartarone. Gli raccontai dei miei sogni di diventare giornalista, rispetto ai quali, con il realismo di chi preferisce le brutte verità alle belle bugie, fu il primo a mettermi in guardia: “Sì, è un mestiere bellissimo! Il più bello che ci sia! Ma è una strada lunga, difficilissima. E di soldi ce ne sono pochissimi”. Più chiaro di così…
In oltre dieci anni d’amicizia, Zak è stato per me un riferimento, un baluardo, una certezza. Anche quando mi mandava a quel paese apparentemente senza motivo, anche quando è capitato di non condividere idee e azioni, anche quando ha deciso di farsi da parte dal giornalismo “militante” che riusciva a interpretare con l’efficacia, la passione e l’originalità che in carriera ho visto in pochi colleghi. Tradizionalista aperto alle tecnologie, poliedrico, innovatore, instancabile, ha trasmesso a chiunque lo abbia frequentato o seguito il suo autentico e genuino amore per il racconto sia televisivo che in carta stampata. Aveva il tarlo d’un sito internet fatto – ipse dixit – “in un certo modo, come piace a me”. Un male infame non gli ha permesso di completarlo, ma al sottoscritto ha lasciato un inestimabile tesoro d’esperienze che porto nel mio bagaglio quotidiano e custodisco nei cassetti più belli e preziosi della memoria. Un vissuto intenso e profondo.
Le trasferte in auto e in treno, gli aneddoti sull’Argentina, la maglia del Lanus, l’amore per la sua Salerno e il mare del Salento, i pranzi a casa sua (“E se non resti m’ pigl’ collera!”), le partite viste insieme, lo sport vissuto sui posti, in prima linea, perché solo se provi emozioni sei poi capace di raccontarle. Quando mi disse d’avere un tumore, Zak vide il mio volto provato e si buttò subito sulla metafora calcistica: “Vedi che mi sto curando. Ho già iniziato. E stiamo 1-0 per me”. Sorrisi risollevato, eppure pervaso dall’inquietante percezione che sarebbe stata una partita difficile. L’ha persa a testa alta, il Prof. Combattendo a modo suo, con il coraggio, l’orgoglio e lo stile di sempre. Sì, con quel cuore grande che riconobbi da piccolo…

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