di DARIO CIOFFI

Il calcio dà. Il calcio toglie. Il calcio ridà. Un gioco pazzo, a volte persino perverso, di destini che s’incrociano prendendo strade spesso impreviste, svolte estemporanee che segnano eventi un attimo prima parsi indecifrabili. E così Inter-Salernitana non può che (ri)nascere con il pensiero, tutto “pallonaro”, dell’ex mancato Simone Inzaghi, che in una rovente estate di sei anni fa fu per settimane allenatore granata in pectore.

Era stato designato a partire dalla serie B, dopo un interregno da “supplente” nella prima squadra della Lazio, su proposta di Claudio Lotito che, dopo averlo battezzato nel percorso da tecnico iniziato dagli Allievi di Formello, l’aveva scelto per l’allora succursale del suo impero. “Inzaghino”, all’epoca ancora visto mediaticamente come “ino” al cospetto del fratello maggiore Super Pippo, era pronto: il tempo d’una vacanza a Formentera, poi al nastro bagagli dell’aeroporto di Fiumicino avrebbe avuto idealmente già il cavalluccio marino sul trolley. E però accadde l’imprevedibile: il “gran rifiuto” del “loco” Marcelo Bielsa all’avventura laziale, il rimpasto interno del multi-patron e Simone proiettato sulla panchina dell’Olimpico lasciando vuota quella dell’Arechi, su cui si sarebbe accomodato, per poco e senza grosse fortune, Beppe Sannino.

Dal 2016 a oggi è trascorsa una vita, eppure da Formentera a Barcellona per Inzaghi i colpi di scena son rimasti all’ordine del giorno. Un paio di settimane fa pareva non riuscire più a tener fede alle ambizioni della sua Inter, poi nello spazio d’un trittico di partite – di cui due di Champions contro i catalani – ha riscritto una storia che pareva scontata, e il pareggio d’un “mercoledì da leoni” davanti ai 94mila del Camp Nou solo blaugrana è stato il certificato di qualità dello stato di salute dei nerazzurri e del proprio condottiero.

Da idolo a “sotto esame” e viceversa, del resto, nel calcio si passa senza quasi accorgersene. Ne sa qualcosa Davide Nicola, eroe della salvezza impossibile del 7%, baluardo della seconda stagione consecutiva della Salernitana in A e tutt’un tratto allenatore messo in discussione, aggrappato a un mancino magico di Dia che al 94’ del match di domenica scorsa contro il Verona ha scacciato via cattivi pensieri e forse pure guai. Ordinarie vicende d’un pallone che ha memoria breve perché il presente impone sempre di tenere il passo, vincere, dimostrare. E allora la trasferta di San Siro, per i granata che hanno ritrovato successo e coraggio dopo il buio d’una doppia sconfitta che ne aveva turbato la serenità, diventa l’occasione, potenzialmente, per mostrare nuovamente l’anima coraggiosa che aveva fatto apprezzare l’ippocampo al cospetto d’ogni avversario fino a quella notte spartiacque di Torino contro la Juventus.

Tornerà la Bersagliera “rivelazione” dell’alba della stagione? È domanda ed è aspettativa, che si rincorrono nella narrazione d’un momento importante perché certe sfide, e Inter-Salernitana è tra le principali, aggiungono un fascino speciale che sfugge alle pur sempre prioritarie ragioni dell’attualità. Lo stadio Giuseppe Meazza, “la Scala del calcio”, i ricordi suggestivi e amari di quella beffa del 1998 all’ultimo respiro, dopo aver sognato il colpaccio contro i nerazzurri di Baggio e Zanetti, con ancora negli occhi quel lancio dalla difesa “dritto per dritto” di Fusco a Di Michele, nel pomeriggio d’un settore ospiti tutto granata dietro lo striscione “Chi combatte può morire, chi fugge resta vivo… Almeno per un po’!”. E poi la goleada subita un inverno fa, quando il Biscione stritolava il cavalluccio marino e però il popolo dell’ippocampo dal Terzo Anello Blu cantava d’orgoglio più forte della Curva Nord di casa, al di là del risultato.

Ripenseranno pure a quella sera, i 4mila e passa salernitani di San Siro. Perché il calcio dà, il calcio toglie, il calcio ridà…

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