di DARIO CIOFFI
“È finita si dice alla fine”. Pensò così, dieci mesi e mezzo fa, la Salernitana che arrivò a Marassi (stra)ultima in classifica, a distanza siderale dalla zona salvezza. Sì, ché quando l’arbitro fischiò l’inizio del match contro la Samp il “buco” dalla 17esima posizione era -12. E d’accordo che c’erano due o forse tre (tante sarebbero state) partite in meno, per i granata, rispetto alla concorrenza: a temperature così gelide, a certi dettagli manco ci fai caso. Ci credevano, però, i ragazzi con l’ippocampo cucito sul petto, e più di loro quei mille instancabili cavalieri che proprio non volevano saperne di lasciar solo la loro signora, pure se per (quasi) tutti – poveri illusi – era già spacciata. La storia avrebbe raccontato che quella vittoria, griffata Fazio-Ederson, si sarebbe rivelata la svolta, l’inizio d’un filotto poi sfociato nel miracolo. Dolcissimo, affascinante, incancellabile amarcord d’una giornata che fu e resta d’esempio di quanto il calcio non abbia di scontato neanche le “pezze” del pallone. È tutto da scrivere. Potenzialmente da conquistare.
Quasi un anno dopo, a casa dei blucerchiati “schiaffeggiati” un girone fa all’Arechi, la Salernitana ci torna dopo aver ritrovato identità, vittoria e sorriso. Il tris al Monza ha riacceso la luce, rimesso ordine nella confusione d’un periodo complesso, scandito da affanni e contraddizioni, restituendo la Bersagliera alla sua tradizione, al suo destino. Perché va da sé che l’eredità preziosa dell’ultimo successo, prim’ancora che nel buon gioco espresso e nel risultato messo a referto, stia nel fatto che i granata si siano ripresi la dimensione necessaria che deve animare chi lotta per salvare la pelle. La “fame”, la motivazione, il desiderio d’andare i propri limiti sono il vero segno lasciato da Paolo Sousa dopo il suo arrivo in panchina. E più che in quel giro-palla che s’è rivisto, efficace e meno timoroso, o nei gol segnati e finalmente non subiti, l’emblema della riscossa sta in quel “cerchio” in cui il tecnico portoghese stringe la sua squadra. Spalla a spalla, occhi negli occhi: tutti uniti dentro quel gruppone e con un sacco di gente attorno a soffiar dalla stessa parte.
La Salernitana che stava gettando tutto a mare s’è rianimata così, proprio quando ha sentito la paura d’esser risucchiata laggiù, dove manca l’aria. E allora come per magia sono tornati i tre punti, i più forti ch’erano infortunati, gli abbracci fraterni tra compagni che nelle partite precedenti parevano sconosciuti. È stato bellissimo ma conterà poco se a questo ruggito non verrà dato seguito. Il calendario, fuori dall’equivoco, dà una chance che t’invita a dire che un bel pezzo di traguardo possa esser in palio lì, proprio a Marassi: la Samp è ultima, con la miseria d’11 punti messi insieme in una stagione fin qui stentatissima e piena-zeppa di problemi. Eppure, guai a fidarsi. Osare è un dovere, sottovalutare l’avversaria credendola spacciata è un azzardo, anzi, un peccato mortale. Ché proprio i granata “insegnano”… Che “è finita si dice alla fine”.
(foto US Salernitana 1919)