di Dario Cioffi
L’Arechi che arde di passione. La classifica che va alimentata – sì, certo – e però che non dà l’ansia dei giorni peggiori. L’onda lunga d’una serie positiva da cavalcare. E poi – last but not least – quell’umanissimo desiderio di stupire, d’andare oltre, di vivere un sogno e di regalarlo alla propria gente. C’è tutto questo, e molto altro ancora, nella vigilia d’un Salernitana-Inter ch’è match speciale non per scontata etichetta. Con tutto il fascino che una sfida del genere porta con sé.
Mattoncino su mattoncino, passettino-passettino, i granata di Paulo Sousa stanno costruendo il risultato che vien chiesto, avvicinandosi verso un traguardo che farebbe storia: la Bersagliera per la terza volta di fila in serie A, roba che aggiorna gli almanacchi, e che somiglia a un (nuovo) ciclo che s’è già aperto. L’alba d’una partita importante, percepita con le suggestioni inevitabili d’affrontare una grande del calcio italiano, una delle “top 8” d’Europa, si prende la Settimana Santa d’una Salerno ch’è un tutt’uno con la propria squadra. Quell’esodo a La Spezia, uno stadio d’altri ovunque colorato di granata, è una cartolina del momento regalata dal cavalluccio marino e dal suo popolo. Sì, ché quelle immagini d’una Domenica delle Palme in trasferta come a casa, non soltanto per “quelli di sempre”, ma anche – o forse soprattutto – per un “esercito” di bambini che si sentono già cavalieri al seguito della propria “signora”, esprimono il sentimento d’una piazza ch’è dentro una nuova storia. E ha diritto e dovere di viverla. Di respirarla a pieni polmoni. Lasciandosi inebriare da quella magia che da queste parti il calcio sa regalare come nessun’altra cosa.
Salernitana-Inter, allora. Per cercare un’impresa. Per scattare verso una salvezza vicina ma ancora nient’affatto scontata. E anche per – sportivamente, chiaro! – “togliersi qualche schiaffo dalla faccia”. Un orgoglioso bisogno di rivalsa che si racconta nei numeri crudi d’un recentissimo passato: 12 gol subiti e neppure uno segnato in tre sconfitte contro i nerazzurri, che dal dicembre del 2021 all’ottobre scorso, due volte a San Siro e una all’Arechi, i granata li hanno sempre presi a pallonate. E però erano tempi diversi da oggi, in cui – per carità – il gap in valore assoluto tra le due squadre resta (ed è enorme), eppure a quest’appuntamento così importante arriva una Bersagliera più consapevole, autentica, decisa a vender carissima la pelle dell’ippocampo se proprio dovesse esserci da uscirne a mani vuote.
L’Inter, mica tanto per paradosso, se la passa peggio. È uscita dalla sfida di Coppa Italia contro la Juve con un pari tra mille tensioni e sente sulle proprie spalle tutta la pressione di chi non deve né può scivolar fuori dalla zona Champions, piazzamento che sposta moltissimo nel futuro della squadra d’Inzaghi. Già, mister Simone, l’ex mancato, che sette anni fa chiamavano ancora “Inzaghino” quando l’allora multi-patron Lotito decise di “promuoverlo” dalla Primavera della Lazio alla panchina della Salernitana ch’era in serie B. Restarono promessi sposi, in quell’estate un po’ surreale del 2016, perché il tecnico piacentino tornò da Formentera pensando di vestirsi di granata e invece si ritrovò sulla panchina della prima squadra biancoceleste dopo il gran rifiuto del “loco” Bielsa. Pure questi tempi andati. Passato remoto.
Oggi è un’altra storia. E la sua, la Salernitana, ha una voglia matta di scriverla…
(foto US Salernitana 1919)