di DARIO CIOFFI

Il futuro è oggi. In campo e fuori. Ed è adesso che la Salernitana può e deve cogliere al volo l’opportunità di svoltare. E di costruire qualcosa che lasci il segno, durando nel tempo.

Prima la salvezza, è chiaro. E il match dell’Arechi contro il Sassuolo rappresenta un’occasione d’oro per piazzare quell’accelerazione decisiva, lo scatto che servirebbe ai granata se non per chiudere la pratica – ché per quello, la storia insegna, serve la sentenza definitiva dell’aritmetica – quantomeno per vedere il traguardo più vicino, in fondo a un rettilineo che diventerebbe ormai quasi in discesa. La gestione Paulo Sousa ha riportato l’ippocampo a distanza dalla zona rossa, certo non c’è da rilassarsi, né illudersi che il grosso sia fatto, però va da sé che la serie positiva lunga sette giornate di campionato rappresenti un eccellente viatico. Per chi ha l’obiettivo di salvarsi la pelle, infatti, pure la “raffica” di sei pareggi in altrettante partite è ciclo virtuoso, che ovviamente ora andrebbe alimentato da una vittoria che manca comunque da due mesi benché il prestigio d’alcuni segni X, vedi l’ultimo a Torino ma soprattutto quelli strappati alle due milanesi fresche semifinaliste di Champions League, rendano assai meno insofferente l’astinenza da vittoria.

La Salernitana di stampo portoghese, del resto, ha dimostrato d’aver ben chiaro quel che può fare e come arrivarci. Vero, a tratti, nel corso d’una stessa gara, pecca di continuità, ma sta portando a casa punti preziosi, mattoncino-mattoncino, passettino-passettino, per tener fede alla sua mission stagionale. È discorso noto, e però mai banale: i granata per tre anni di fila in serie A non ci sono mai stati, riuscirci al tramonto del secondo campionato consecutivo nell’élite del calcio italiano (ch’è già di per sé una prima volta) significherebbe esser dentro un nuovo ciclo, di fatto già aperto tra mille suggestioni e altrettante prospettive.

Ed è qui che s’innesta il secondo tema di strettissima attualità con vista sul futuro: l’impiantistica. Il progetto “centro sportivo” di cui tanto si sta discutendo, e quello dello stadio ch’è tornato a prendersi la scena nella settimana che sta per finire. L’Arechi è il tesoro non sfruttato per un “sistema calcistico” cittadino che fa evidentemente ancora (troppa) fatica a trovare la sintesi tra pubblico e privato. La proprietà Iervolino ha parlato chiarissimo: ha risorse, idee, voglia di concretezza. Il rinnovo della convenzione, sancito lunedì, rappresentava forse – o senza forse – la grande opportunità di marcare un’altra svolta, fuori dal campo, per fare del cavalluccio marino un modello nazionale. È stata rinviata, non la convenzione ma la svolta.

Certo, c’è il gioco delle parti. Ed è per questo che “sintesi” diverrebbe la parola chiave per non svuotare il Comune delle proprie competenze (e responsabilità), rispetto allo stadio con il nome da principe ch’è bene – appunto – in capo all’Amministrazione, ma pure per permettere alla Salernitana d’aprire quel circolo virtuoso che presupporrebbe una gestione più moderna d’un impianto che ad oggi “serve” solo due volte al mese. Eccolo, il senso dell’occasione: di fare dell’Arechi la “casa” della Salerno del calcio a tutto tondo, centro d’una passione e tradizione che reclama tanto, da una funzionalità e fruibilità maggiore a un museo della storia, passando per iniziative di marketing che da queste parti hanno un potenziale enorme, e lo si è visto nei fatti più che nella teoria.

È utile o almeno “confortante” pensare che questo salto di qualità sia solo slittato. E che verrà fatto, prima o poi (si spera quanto prima). Perché l’Arechi è sì un bene pubblico ma prim’ancora un “interesse di comunità”. Che oggi può decollare, davvero, solo grazie a un grande e necessario impegno privato. Il futuro è oggi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *