di DARIO CIOFFI
Avanti Bersagliera. Adesso è un tormentone. Oppure un “must”, come dicono i bravi. Un dovere morale urlato con orgoglio, quello che suscita una squadra che non ha soltanto infilato dieci – sìssignore, dieci! – risultati utili di fila, ha soprattutto fatto innamorare un sacco di gente. Eccola, la Salernitana che marcia verso Empoli facendo “marameo” pure ai fantasmi del passato, a quel sabato d’un anno fa carico d’illusioni poi diventate paure, all’umanissima disperazione per quel rigore fallito da Perotti, anticamera della folle eppure alla fine indimenticabile notte della salvezza dell’Arechi contro l’Udinese.
Da un maggio all’altro, adesso è storia diversa. Questa qui che stanno scrivendo Paulo Sousa e i suoi ragazzi, supportati ed esaltanti da un popolo che raramente ha percepito d’esser così tanto e meravigliosamente rappresentato, è un’avventura che non sa d’impresa ma di consacrazione. Ché mai il vecchio cuore granata s’era sentito così “dentro” l’élite del calcio italiano. E non solo. Ha fatto parlare il mondo, la Salernitana di stampo portoghese. Con i pari imposti alle due milanesi semifinaliste di Champions, con quel clamoroso punto strappato al Napoli costringendo al rinvio d’una festa planetaria, con un attaccante che s’è preso il lusso di far quattro gol in tre giorni, quello epico del Maradona prima della tripletta servita alla Fiorentina, mettendo Salerno al centro d’una dimensione globale del pallone che, con tutta la fierezza per una tradizione che esiste e si fa rispettare (dal Vianema a Delio Rossi), all’ombra del Castello d’Arechi è novità assoluta.
La rivoluzione di Danilo Iervolino, in meno d’un anno e mezzo, è stata anzitutto l’aver dato alla Salernitana una visione ch’è già presente, un respiro internazionale tanto inedito quanto affascinante e che la piazza, con la sua passione e maturità, ha dimostrato non soltanto di meritare, pure di reggere. Con padronanza del ruolo. È ché, evidentemente, il popolo granata non aspettava altro che questa grande chance di far scoprire in ogni dove quanto ricco fosse il patrimonio emotivo che il cavalluccio marino porta con sé, l’attaccamento, il trasporto, il senso d’appartenenza.
Merito di questo processo, così costantemente in evoluzione, va ascritto anche al lavoro di Morgan De Sanctis, l’uomo che più di tutti ha dovuto quest’anno giocare una “doppia partita”: quella del campionato, con la squadra da costruire e la leadership dell’area tecnica da gestire, e però pure, non meno complessa, l’eredità d’un recentissimo passato che, legittimamente, riconosceva nel predecessore Walter Sabatini non soltanto un grande protagonista del miracolo-salvezza ma anche un’icona totale per cui la gente andava matta. Il mito del ds del 7% è rimasto (non bastava la sala del Ghirelli, qualche sera fa, per contenere i tifosi accorsi ad abbracciarlo, rarità la coda all’esterno d’un teatro per la presentazione d’un libro in una città), eppure il più giovane successore è stato capace di non farlo rimpiangere. Anzi, ha imposto il suo modello. Con i fatti. Lavorando in silenzio anche quando è stato messo nel mirino della critica, cosa che da uomo di calcio d’esperienza consumata non l’avrà suggestionato più di tanto. Il tempo, ch’è sempre il miglior estensore di sentenze, gli ha riconosciuto valori e onori, dal colpaccio Dia, che sarà un “win-win” sia se resterà e sia se sarà ceduto (solo, evidentemente, a cifre da capogiro), arrivando alla scelta di Paulo Sousa.
Già, il mister portoghese, che completa il tridente granata con patron e direttore. Quando arrivò, dopo un altro addio sì necessario ma che fece “male al cuore”, quello di Davide Nicola, più di qualcuno avanzò dubbi, tutti ragionevoli prima d’ascoltare le parole – che sono pietre – del campo: “Sa come si traghetta una squadra che deve salvarsi?”. “Sarà in grado di cavare il meglio da un gruppo che non fa del gioco la sua dote principale?”. A queste e a molte altre domande, Paulo Sousa ha risposto con il calcio, il mezzo attraverso il quale ha infilato dieci risultati di fila.
Caccia all’undicesimo. Com’è che si dice? Avanti Bersagliera.
(foto US Salernitana 1919)