di DARIO CIOFFI
Una squadra e il suo popolo.
Marciano insieme verso l’ultima in casa. Spalla a spalla. Come sono rimasti per un campionato intero. Quando ci si è illusi d’arrivare “nella parte sinistra della classifica” (portate pazienza, ci arriviamo piano piano) e quando ne abbiamo presi otto. Quando siamo andati oltre il sogno e quando siamo (ri)caduti nell’incubo di sprofondare.
Siamo figli dell’inferno del pallone. Non c’è dannazione che non sia passata da ‘ste parti. Quei trent’anni di serie C. Il primo fallimento che ci portò a San Marino e Pizzighettone. E il secondo invece a Marino (manco il “santo” lì c’era) e poi a Poggibonsi. Ne abbiamo passate così tante che i guai visti non sapremmo neppure contarli. E però in ordine sparso ce li ricordiamo tutti. Per questo portiamo gratitudine a chi c’era, quand’era una missione abbracciarsi ‘sta croce, e facciamo il pernacchio a chi s’è sfilato. È stata una figata, fidatevi, fare inferno e ritorno, ci ha fatto diventare invincibili.
Così forti che se un Verona qualunque una sera di febbraio ti batte e ti ributta in “mezzo alle mazzate”, tra chi deve salvarsi la pelle, più di tanto non ti spaventa.
Com’è che cantava Ligabue?
“Ho messo via… Un po’ di legnate, i segni, quelli, non si può!”.
Le cicatrici sono disegni dell’anima e noi, tutti quelli cresciuti a pane e Salernitana, ne siamo pieni.
È solo per questo che stasera, dopo il 3-2 all’Udinese (così, tanto per ricordarsi che quei quattro gol dell’anno scorso furono ‘na cattiveria, pure se non ci restò manco un po’ di rancore), nel vedere il film del campionato in quei tre minuti di video che ci hanno messo lì sui social, ci è scappata una lacrima. Anzi, mica una sola. C’abbiamo un’età noi ragazzi del secolo scorso…
Ché il pallonetto di Candreva alla Lazio, la magia di Dia a Napoli, il rigore di Piatek alla Juve, Ochoa che le para tutte, Mazzocchi che ci fa impazzire, insomma tutta quella roba lì, ci manda al manicomio a rivederla mischiata tutta assieme. E così ripartiamo daccapo, schiacciamo play, arriviamo al primo bambino con la maglietta granata che si strofina gli occhi accanto al papà e piangiamo un’altra volta. Siamo fessi, lo sappiamo. Ma voi che siete buoni c’avete mai pensato a che cosa vi siete persi?!
Quest’anno la nostra Bersagliera – ché mi piace un sacco che tutti la chiamino così, per personalissime e presuntuosissime ragioni di cuore – ha fatto qualcosa che da queste parti non s’era mai visto. Né sognato.
Così, come la Macchina del Tempo di Doc in Ritorno al futuro, siamo saliti sulla Delorean viaggiando in un’epoca nuova e che neppure pensavamo esistesse. E la grande novità non è stata soltanto averlo vissuta, ma esser pure riusciti a godercela.
La lista dei “grazie” è lunga, comincia con il presidente Iervolino e finisce con l’ultimo dei videomaker (straordinari pure voi, ragazzi!), e però il più grande va alla gente, senza la quale non esisterebbe tutta questa magia.
E se ancora non ci credete, rivedetevi un’altra volta quel video, così vi fate l’ultimo pianto. Ché emozionarsi è un diritto e per intossicarsi ancora, statene certi, c’è sempre tempo. Quando “viene-viene”, sa che saremo pronti ad accoglierlo. L’indirizzo lo conosce a memoria. E sa pure che ci (ri)troverà spalla a spalla.
Una squadra e il suo popolo.
Una squadra è il suo popolo.
L’una o l’altra, cambia nulla. Lasciate che sia il T9 a scegliere se mettere o meno l’accento…