di DARIO CIOFFI

Sei il Vestuti prima di tutto, almeno per me. Ché sono cresciuto lì dentro, in una palestra ammuffita e bellissima sotto la Curva Nord.
Sei la Zona Orientale, dove già alle scuole medie, mentre salivamo sui primi pullman direzione centro, dicevamo «andiamo a Salerno», e lo diciamo ancora, come se vivessimo altrove. Chi t’insegna a familiarizzare co’ ‘ste scemarie, poi, non te lo ricordi mai…
Sei Torrione Alto, il mio primo quartiere, coi suoi confini sicuri come un giardino.
Sei «abbasc’ ‘o Turrion’» con il suo mercato, dalle ultime sigarette di contrabbando lato strada ai primi bar fighi, ché dire «stasera ci vediamo a Torrione» negli anni belli non era più “uno scuorno”.
Sei Pastena che “Il mio viaggio a NY” disse «sembra il Queens», che io non ricordo ma ricordo benissimo la curiosità di scoprirne ogni angolo. Lì, «for’ ‘a Pastena» (“fuori rispetto a cosa?” non chiedetevelo, si dice così). La piazza, e vabbè. Le traversine che sbucano dentro, la Ciampa di Cavallo (per noi ce n’erano due, grande e piccola), il centro sociale che ‘na volta da bambini faceva paura e oggi è casa mia, i bar coi tavolini fuori in cui certi giorni passavi più tempo che a scuola, “rifugi” sicuri, dove in un tempo ancora senza WhatsApp ti (ri)trovavi senza esserti dato appuntamento.
Sei Mercatello con la cornetteria. E il Lido-Lido coi motorini parcheggiati sul marciapiedi e un numero imprecisato di Starter fottuti (avrei sempre voluto conoscerlo ‘sto collezionista).
Sei Mariconda e Matierno con i loro “segni”, e l’Arbostella che ti dicevano ch’era (solo) Vip perché prendevano casa i calciatori.
Sei il Corso con la sua eleganza.
E sei il Lungomare con la sua bellezza così suggestiva da schiacciare l’incuria che ti lasci alle spalle ogni passo che fai.
Sei la Via Roma ch’era (stra)piena pure il venerdì sera e dove d’improvviso ci sentimmo adulti.
Sei la Rotonda di mille serate, in cui tutti si chiamano per sapere dove siano gli altri quando basterebbe farsi un giro a piedi e vedere tutti.
Sei S.Agostino dove a un certo punto – dalla Rotonda – la gente migrava. Così, senza un perché (e manco quello che “decideva” ‘sto fatto l’ho mai conosciuto).
Sei il centro storico, l’antica Salerno, con i suoi “vicarielli” misteriosi e affascinanti in cui ogni pietra racconta qualcosa.
Sei Santa Teresa con il torneo «abbasc’ ‘a rena».
Sei il Duomo con il suo “tesoro” di fede e umanità.
Sei il Castello Arechi, opulenza, storia, meraviglia. Ce li portiamo un po’ di turisti “seri” o ce lo terniamo solo per noi che ci diciamo «quant’è bell’!»?
Sei Piazza della Concordia, sempre squallida e abbandonata a se stessa, e però che magia quando la riempiamo di granata!
Già, la Salernitana, lo stadio Arechi, la Curva Sud, l’identità e la tradizione, tutto ciò che nasce nel pallone: nella Nostra Città, insieme al Santo di oggi, è quello il simbolo più grande.
E poi cos’altro sei? Beh, un sacco cose. Tipo, in ordine sparso, almeno per me: sei gli scogli «abbasc’ ‘o puort» e il porticciolo più riservato, l’etichetta di “pisciaiuoli” che si pensa sia un epiteto irripetibile e invece è un orgoglio, la stazione ch’è sempre un cesso e Marina d’Arechi che invece è bellissima (e quindi ben “nascosta”, non sia mai la facessimo vedere)… E sei il gelato del Nettuno e la pizzetta di Sabatino, lo “struscio” delle vigilie e la colazione di notte al Pacifico. Il panino con la “mevza”. Sì, quello di oggi. Nel giorno della processione e della festa, di fede e di popolo.
La Scuola Medica e i Longobardi, Salerno Capitale d’Italia e i suoi tanti illustri figli li tengo per ultimi di proposito. Ché sennò sembrerebbe un elogio alla spocchia. Macché. Siamo un popolo semplice. Gente di mare. Che della sua città detesta i mille difetti, e però guai a chi ce la tocca!
Auguri, Salerno.
Buon San Matteo!

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