di DARIO CIOFFI
Temprati più che consumati da un passato che conosciamo troppo bene, siamo un po’ tutti concordi sul fatto d’aver vissuto di peggio, d’esser stati in grado d’affrontare difficoltà più dure. Ed è la certezza che muove la consapevolezza, condivisa, che potremmo farcela anche stavolta.
E però, senza – come sempre – la pretesa di convincere nessuno, due-cose-due sento il personalissimo bisogno di dirle. Perché ce la faremo, o almeno ci proveremo come la complessità c’impone, solo se staremo tutti dalla stessa parte. Ch’è quella della Salernitana. Senza strade alternative né “però” detti per rivendicare altro.
La storia c’insegna che Salerno s’è già divisa abbastanza rispetto alle legittime diversità d’opinioni (vivaddio non ce n’è mai una soltanto, sennò si appiattirebbe il pensiero). E così – la dico brutta, che fa meno figo ma è più esplicito – ci siamo “intossicati” persino la stagione della promozione in serie A perché se ci credevi (per alcuni) “stavi” con una società contestata e se facevi il profeta del galleggiamento annunciato (per gli altri) quasi-quasi tifavi contro. Nella via di mezzo c’era un muro che solo il 10 maggio 2021 cadde davvero.
È un esempio per ricordarci che le (stra)maledette tesi che legittimamente – e due! – ciascuno ha non devono mai esser anteposte alla fiducia e al supporto da dare la squadra, che in quanto tale comincia con la società, passa per l’allenatore e finisce con l’ultimo dei panchinari al quale è stata affidata la maglia ch’è per un sacco di gente tra le cose più care che c’è al mondo.
Le antipatie, le simpatie, gli innamoramenti, le incazzature e un mare d’altre cose sono concetti mutevoli. L’unica cosa che non cambia, e mai dovrà cambiare, è il voler bene alla Salernitana che di per sé è concetto filosofico, ma che nella pratica va espresso sforzandoci, tutti, di resistere alla tentazione dell’eccesso, che sia pessimismo totale o ottimismo per partito preso, e provare ad accompagnare la squadra, in testa il suo nuovo tecnico Pippo Inzaghi, trasmettendo affetto, supporto, coraggio.
Non ho (ancora) – per miei “concomitanti impegni”, come dicono i bravi – sentito una parola della conferenza stampa di ieri. Ne ho lette diverse. Qualche virgolettato e moltissimi commenti a corredo. Ne emerge un’aria pesante che non aiuta chi deve fare la parte più importante e fin qui la sta facendo male. I calciatori, ovviamente. Che certo non giocano per perdere ma che se non riescono più a vincerne una qualcosa dovranno correggerla. E dov’è possibile, ciascuno per la sua parte, bisognerà aiutarli affinché ci riescano.
Ci sono altre trenta partite, ci sarà il mercato, c’è la possibilità, forse la necessità, di rimediare agli errori fatti e recuperare quel che fin qui non è andato. Urlarsi addosso non serve. L’abbiamo già fatto (troppo) spesso. Quanto ne abbiamo nostalgia?
Una società unita e uno spogliatoio unito sono i presupposti necessari per “giocarsela” (e siccome sei in serie A manco ti dà la garanzia di salvezza!). Pretendiamola, questa unità, dando l’esempio. Che non significa tacere, semplicemente non rischiare di distruggere. Lo so che a chi diceva “serve l’attaccante” gli brucia quando non si segna, ma a chi giova tirare avanti divisi in partiti di “pro” e “contro” (io cioè apparterrei al “terzo”) mentre ci giochiamo la pelle, e cioè la categoria sognata per una vita e che oggi possiamo finalmente difendere e consolidare?
Salerno – sono di parte? Sìssignore! – ha una tifoseria unica, che da settimane ha indicato una strada.
Per scelta, a chiusura di queste righe che forse qualcuno avranno annoiato, mi piace riproporre il “Diamante” che ha fatto il giro del mondo. È nostro. Custodiamolo. È la cosa più preziosa.
E anche quando la pensiamo diversamente, ricordiamoci – tutt’insieme – di restare dalla stessa parte.
(foto Pecoraro/US Salernitana)